BREATH - Congiu: "Il mare, mio padre, la mia vita, il futuro"
Dopo le prime presenze ai festival internazionali, dal 5 maggio inizia il suo percorso nelle sale cinematografiche italiana il documentario
"Breath" di Ilaria Congiu, in cui l'autrice e regista racconta la crisi ambientale dei mari attraverso la storia personale sua e di suo padre, che dirige un'azienda di esportazione di pesce congelato in Senegal, dove lei è cresciuta e ha a lungo vissuto.
Quando è iniziato il lavoro su questo progetto?
Ci è voluto tanto tempo, diciamo che l'ho iniziato ancora prima di scriverlo come film.
Grazie al lavoro di mio padre sono da sempre in connessione con quell'ambiente, ho vissuto da bambina nei porti, sono cresciuta naturalmente con la sensibilità per capirlo, e lui stesso è da sempre molto sensibile a temi ambientali (le punizioni ricorrenti nella mia infanzia erano legate a questo, come l'aver lasciato la luce accesa...).
Negli anni '90 il Senegal non era un Paese molto sviluppato, per noi giovani c'era poco da fare ed ero sempre al mare, a fare surf e cose simili. Ricordo i cuccioli di squali sul fondale, che ora non ci sono più, e i primi discorsi in casa sul pesce che iniziava a mancare.
Ho poi avuto la fortuna di operare sulle barche di Sea Shepherd, nel Mediterraneo, e questo mi ha aperto gli occhi su tante cose: ignoravo ad esempio l'esistenza delle gabbie per i tonni, pensavo fossero illegali e invece no, e mi sono sentita un tonno io stessa. Quel giorno ho iniziato a scrivere, sono stati necessari quattro anni: perché ora? Ma se non ora, quando? La situazione è grave, ho provato a non essere catastrofica ma è giusto dibatterne.
Il tuo lavoro si muove su più livelli, quello ambientale e quello familiare.
Lo ammetto, è stato complesso da impostare, è cambiato tanto in fase di scrittura, all'inizio era molto sulla pesca e non volevo metterci nulla di personale, avevo paura di essere egocentrica, ma sono cambiati anche i miei sentimenti, ero molto arrabbiata all'inizio.
Scrivevo mentre facevo le riprese, aiutata da quello che vedevo, adeguando a ciò che succedeva intorno a me: c'è stato poi bisogno del grande lavoro al montaggio con Luca Carrera, che è un vero co-autore del progetto. Sono cambiata anche molto io nel frattempo, io e lui per due settimane abbiamo solo parlato, per capire cosa volevo raccontare, ma non ci siamo mai arenati, è stato un lavoro viscerale, non volevo annoiare, né dare troppe infomrazioni, ma ribadire sempre che il mare è una cosa bella da conoscere meglio.
Con chi hai parlato per costruire il tuo racconto?
Ho avuto la fortuna di parlare con centinaia di persone, meriterebbero tutte un film. All'inizio volevo concentrarmi solo sulla pesca artigianale e su quella illegale, mi chiedevo come può un pescatore andare contro le regole? Poi mi sono risposta: per necessità, molto volte. Siamo tutti responsabili di quello che avviene, accettiamolo.
Come dicono nel documentario, le regole cambiano anche spessissimo, stare al passo è dura, è difficile trovare l'equilibrio.
C'è speranza per il futuro del mare?
Finché c'è vita c'è speranza, senza mare e senza terra dove andiamo?
Quando guardavo i documentari sul tema mi veniva un'ansia esistenziale e non riuscivo a finirli, ho cercato di non dare quella sensazione. Trovo inutile la gara a chi salva meglio il pianeta, non è interessante per me, poi in questo periodo storico che, diciamo, non è dei migliori, la pesantezza non aiuta. Volevo un racconto leggero, giocoso, in cui parliamo in modo costruttivo.
Ai festival la reazione è molto interessante: in Europa spesso mi hanno detto che sono troppo ottimista, in Africa e altrove mi trovano troppo catastrofica, dipende dalle sensibilità. Con la distribuzione Mescalito sappiamo che è un film ibrido, difficile da piazzare: si punta sull'aspetto personale, c'è il sotto-tema del rapporto padre-figlia, del dialogo tra generazioni...
Dopo tanti anni di lavoro sei ora impegnata nel portare in giro "Breathe", ma per il futuro cosa dobbiamo aspettarci?
Mi piacerebbe continuare a lavorare su questi temi, che sono quelli che conosco meglio e che mi rappresentano: ma visto il periodo dico che intanto mi piacerebbe lavorare.
Al momento, in ogni caso, sto scrivendo altre cose, sempre sul rapporto di famiglia e sul dialogo tra generazioni.
24/04/2025, 12:10
Carlo Griseri