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“Ad Andrea e ad Andrea”


Gianni Amelio descrive il suo film "Le Chiavi di Casa".


“Ad Andrea e ad Andrea”
Il regista Gianni Amelio
Alla fine del mio film Le chiavi di casa, prima dei titoli di coda, c’è una dedica: “In ricordo di Giuseppe Pontiggia”. In una sequenza centrale la protagonista femminile Charlotte Rampling legge in francese “Nati due volte” e lo consiglia a Kim Rossi Stuart: è un libro che ci riguarda - gli dice. Apparentemente non c’è altro rapporto tra la vicenda narrata dallo scrittore e il copione mio, di Sandro Petraglia e di Stefano Rulli. Basti pensare che il romanzo (che “romanzo” non è) copre l’arco di oltre trent’anni e Le chiavi di casa si svolge in una settimana; che la storia di Pontiggia è ambientata a Milano e il film invece a Berlino e in Norvegia. Ma queste varianti potrebbero sembrare naturali, forse necessarie, quando si passa dalla pagina allo schermo: sappiamo che quello della “fedeltà” tra cinema e letteratura è un falso problema, che si può essere rispettosi della trama di un libro e tradirne la sostanza. O fare invece l’esatto contrario. Le chiavi di casa però non è nemmeno “liberamente ispirato” al libro, secondo una formula che spesso permette ogni variante; non è nemmeno citato nei credit. E ci è parso giusto trovare un nuovo titolo, nonostante quello originale fosse molto efficace: per rispetto a Pontiggia e ai suoi lettori.
Come sono andate veramente le cose? Quando Rai Cinema mi ha proposto di fare un film dal libro “Nati due volte” mi sono subito reso conto che non ne ero capace. Questa volta, più che in altre occasioni, mi sono sentito inadeguato, con la sensazione di essere un intruso in un mondo difficile, dove non avevo il diritto di entrare. Questo diritto dovevo in un certo senso conquistarlo a mie spese, trovare nell’esperienza personale qualcosa che mi avvicinasse alla vicenda che lo scrittore aveva narrato sulla propria pelle. Non si trattava di un fatto tecnico ma di uno stato d’animo. E la svolta è accaduta nel momento in cui ho incontrato Andrea Rossi, il ragazzo che nel film interpreta la parte di Paolo. Da quel giorno il personaggio del figlio ha smesso di somigliare alla figura (reale) del libro per assumere un’altra vita, portando in primo piano altre emozioni. Senza che ce ne accorgessimo, Andrea ci ha dettato la nuova storia da raccontare (anche se questa storia non era la sua), e poi mi ha guidato durante le riprese, mi ha permesso di “guardarlo”, mi ha svelato i suoi pensieri.
Giuseppe Pontiggia ha capito prima di ogni altro che quella era l’unica strada da percorrere per non tradire il senso del suo libro. Ha capito che le sue pagine non avevano bisogno di essere illustrate ma di qualcuno che raccogliesse da lui il testimone e proseguisse da solo il proprio tratto di strada. Perciò ho preso il rischio, per quanto possa sembrare presuntuoso, di “mettermi nei suoi panni” e ricominciare il racconto daccapo.
Il risultato è che ora esistono un libro e un film che camminano paralleli e forse si completano a vicenda, che Andrea Pontiggia e Andrea Rossi - così lontani per età e per storia privata - sono due facce dello stesso Paolo.
A Pontiggia sono grato perché senza il suo libro non sarebbe esistito il mio film. Gli sono grato perché - nonostante non ci siano legami con “fatti e personaggi” raccontati da lui - è dalla sua scrittura (e non dalla sua vita) che ho tratto ispirazione. Ogni narratore sa che non basta mettere insieme una vicenda, ma dare a ciò che si racconta necessità e anima. Quest’anima la si trova nei libri soprattutto quando (come nel caso di “Nati due volte”) non sono stati scritti pensando allo schermo.
Il titolo Le chiavi di casa allude a quando i figli passano dall’infanzia all’adolescenza; e i genitori concedono loro di rientrare tardi la sera, di aprire la porta di casa senza bussare, di sentirsi grandi. E’ un titolo che a prima vista può sembrare spiazzante per un film come questo, che racconta dell’impossibilità di uscire dall’ambito paterno (o materno), di fare a meno della protezione degli adulti. Ma Paolo, il giovane protagonista, esibisce “le chiavi di casa” come un trofeo, sogna che rappresentino la sua forza, anche se non può usarle, se ci deve essere sempre qualcun altro che apra la porta per lui.
Andrea Rossi, alla sua prima esperienza di attore, ha nella vita problemi simili a quelli di Andrea Pontiggia. Anche se non gli somiglia nei tratti del viso, ha la stessa “incoscienza” del male, la stessa allegria fiduciosa, la stessa gioia di vivere. Tutta la lavorazione del film è stata grazie a lui un’avventura speciale. Andrea ha condizionato in senso buono le riprese, azzerando con la sua ironia ogni problema piccolo o grande che la macchina del cinema si porta dietro.
Kim Rossi Stuart recita la parte del padre, un uomo giovane, insicuro, che vive la condizione del figlio come una condanna ingiusta, come il buco nero della sua esistenza. La madre di Paolo è morta durante il parto e lui è scappato davanti a un figlio nato “con qualche problema”. Ora che lo ritrova dopo quindici anni, in segreto e per breve tempo (l’occasione di una visita medica in un ospedale specializzato di Berlino), ha paura di non farcela, di non essere all’altezza. Il film racconta la loro reciproca scoperta, gli scontri e l’affetto, i risentimenti e le loro fragili speranze.
C’è, come contraltare, una figura di donna, interpretata da Charlotte Rampling. Una donna forte, che ha annullato se stessa per prendersi cura di sua figlia che non potrà mai guarire. L’incontro tra i due non porta note patetiche o sentimentali, mostra invece la quotidianità del malessere, il bisogno di sorridere, la necessità di non arrendersi.
Nel mio mestiere capita spesso di sentirsi come scolari al primo giorno di scuola.
Di fronte a questo film confesso di essermi sentito un debuttante, con tutte le ansie e l’entusiasmo che avevo girando i miei primi cortometraggi. Per fortuna qualcosa ho imparato negli anni e sapevo in che direzione andare. L’errore più grave sarebbe stato di assecondare il narcisismo della macchina da presa, cercare il pezzo di bravura. Ma questo è un film di personaggi, anzi di persone. Ogni mezzo è in funzione della loro verità.

Gianni Amelio

07/02/2007