Note di regia del film "Amorfù"
L’idea
La mia convivenza ventennale con Susanna, psichiatra responsabile di una Comunità terapeutica. La nostra casa in campagna, che ha ospitato per dieci anni un gruppo di persone dimesse dai vecchi presidi psichiatrici. Un soggetto che Massimo Felisatti teneva nel cassetto da anni, da quando un suo caro amico era morto malamente manicomializzato. Un contesto improvvisamente attento alla follia come risorsa o come deriva, in un momento storico mai stato così strano: da Faenza a Mc Grath, a Campana-Placido … Così è nato Amorfù, da queste congiunzioni.
Storie Sottosopra
Se è vero che maturare è tutto, e che ogni storia è una storia d’amore. L’amore folle, o follia d’amore, qui è preso alla lettera. La lettera diventa sottotesto, e l’amore forse può anche guarire, o forse semplicemente scoprire che qualcuno non era così malato. Alla base della stesura di questa storia c’è che ognuno dei due protagonisti deve subire un ribaltamento, come Erasmo elogia nella follia. Per questo nel manifesto i due protagonisti sono sottosopra. Sottosopra è anche il carnevale di Rabelais, e Amorfù è Fu Amore oltre che Amour Fou. Non so se tutto questo ha a che fare con il femminile e il maschile, ad ogni modo qui ci sono un uomo e una donna che si rovesciano ciascuno nel proprio contrario e forse proprio per questo si amano.
I costumi
A proposito di Ignazio Oliva nei panni di Fausto, con Lia Morandini avevamo cercato in tutti i modi di vestire lo sventurato in modo che avesse qualcosa di più senza voler con questo operare un’astrazione o una forzatura. Ci venne così in soccorso l’Idiota messo in scena da Kurosawa. L’idea che il principe Myskin fosse una specie di maoista con la giacca militare incollata addosso…questa giacca che messa addosso a Ignazio dà anche a lui una sorta di distacco poetico e nello stesso tempo storico, una sorta di militante dell’anima che si vorrebbe sempre uguale a se stessa …l’amico più matto che ho avuto era sempre vestito con la stessa maglia, come i geni…
La Regia
Non so se all’inizio c’è stata la luce o la parola. Se il movimento dell’attore ha seguito il movimento di macchina o se questa ha seguito l’andare del personaggio. So che questa volta non mi sono tirata indietro. I corpi sono più vicini del solito alla macchina da presa, l’uso a tappeto dei teleobiettivi se da un lato consentiva una assoluta riservatezza del rapporto tra gli attori dall’altra li costringeva a letti di Procuste non indifferenti, a causa della difficoltà di fare i fuochi con i teleobiettivi. Ma era una scelta anche questa sottosopra di ossimoro: bisognava che la lontananza acuisse la vicinanza, perché nella passione amorosa lo sguardo è tutto proiettivo, impressionistico, e perfino un punto nero perso nell’orizzonte diventa la nave che porterà in salvo il naufrago allucinato.
La scenografia
Il set è stato costruito come un’isola, la troupe ed io stavamo col binocolo, bellissima l’esperienza dello studio a Cinecittà, sembra assurdo girare un film di sentimenti in studio, eppure la spettacolarizzazione dei sentimenti all’estremo (e allo stremo) richiedeva questa spazialità assoluta entro cui far vibrare ogni piccolo frammento catturato con il tele che azzera la profondità di campo e ti mette sotto vetro come le farfalle degli entomologi. Carlo Rescigno ha predisposto pareti mobili e fondali di vetro come continue apparizioni…
La fotografia e il montaggio
E poi, ancora sottosopra, a far da controcanto ai tele l’ottima luce di Alessio Gelsini e la camera a mano di Raoul Torresi, con cui abbiamo fatto dei pezzi da corpo di ballo, pas des deux, piani sequenza poi montati a singhiozzo da Paolo Benassi per trovare i sincopati interni all’azione. Il grandangolo crea una singolare interruzione del teleobbiettivo come in un’orchestra ai brani lirici si susseguono i brani realistici. Ho girato a Ivrea dove Susanna lavora in Comunità ore e ore di materiali, li ho montati selvaggiamente e li ho fatte vedere agli attori e alla troupe.
L’andirivieni dello sguardo incerto se proseguire o arrestarsi di fronte ai volti alla Goya, il nero della Quinta del Sordo sostituito dalle superfici specchianti dei vetri, sono diventate la chiave per mettere in scena l’apertura del film, la scena della Comunità girata e montata come una coreografia.
La recitazione
Agli attori ho chiesto di esser se stessi, di non fare forzature, solo di lasciarsi andare a quello che per loro era il loro lato estremo. Il tema del film è che l’estremità del limite e la necessità (voluta o involontaria) di valicarlo sia il vero scandalo e il vero pericolo, e il limite è per tutti lì dappertutto sotto gli occhi, non c’è da andare tra i matti per trovarlo. Ed è prorio tra i matti che te ne accorgi. Di quanto tutti siamo matti in fondo, intendo dire. Di quanto esista veramente una libertà della follia. Di quanto sarebbe terribile annientarla.
La musica
La musica di Amorfù è tutta costruita intorno al tema di Sansone e Dalila di
St.Saëns, maestro di Fauré. L’ho sentita per caso alla radio, RAI TRE, nell’ambito di un programma monografico sulla passione erotica nella musica. Il musicologo citava l’aria “Mon coeur s’ouvre à ta voix” come uno dei brani più erotici della storia della musica. L’editore Piero Colasanti pensò ad uno scoop quando glielo feci ascoltare. Con il maestro Gianluca Podio abbiamo lavorato ad una edizione strumentale dell’aria che contenesse anche delle citazioni delle Bachianas Brasileiras di Villa Lobos, un autore che ha lavorato molto sui confini tra passionalità e misura, squilibrio ed equilibrio, riuscendo addirittura a contaminare Bach con la tradizione etno musicale dell’America latina !
Emanuela Piovano