Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
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"The Dreamers": la scelta degli attori


Come è avvenuta la scelta del cast del film di Bernardo Bertolucci.



Michael Pitt, Eva Green e Louis Garrel
Da quando nel 1973 scoprì l’allora ventunenne Maria Schneider protagonista di "Ultimo Tango a Parigi", nei panni della compagna perfetta dello straniero stanco della vita interpretato da Marlon Brando, Bernardo Bertolucci si è fatto la fama di scopritore di talenti. Nel corso della sua carriera non ha mai tradito questa fama, a cominciare da "Il Conformista" nel 1970 fino a "Io Ballo da Sola" nel 1996 e "L’Asssedio" nel 1998. Concentrandosi su una storia che coinvolge tre giovani, si è accinto ad un compito difficile. Come spiega Jeremy Thomas: "Quando fai un film che parla dei giovani è difficile trovare attori tra i 19 e i 20 anni che siano già delle star e quindi hai maggiori opportunità di scoprire dei nuovi talenti". Per Bertolucci, comunque si è trattato di un qualcosa di più di una semplice ricerca di attori emergenti. "In generale" commenta "non cerco una persona che corrisponda esattamente al personaggio descritto nella sceneggiatura. La cosa che conta di più per me è la sensazione di avere qualcuno che conservi un alone di mistero. Qualcuno che riuscirà a mantenere la curiosità della macchina da presa e dello spettatore fino alla fine del film".
Una volta cominciata la fase di pre-produzione, l’unica cosa certa era che avevano bisogno di due giovani attori francesi e di un americano. "Siamo andati a Los Angeles e a New York per cercare il giovane attore americano", racconta Thomas "e abbiamo visto circa 200 ragazzi prima di scegliere Michael Pitt. Lo stesso è successo con i due attori francesi: inizi con tanti attori, poi ti concentri su quelli che secondo te si immedesimerebbero meglio con il personaggio e alla fine ne individui uno e da quel momento non riesci più a pensare a nessun altro".
La ricerca del giovane americano non è stata facile perché il regista desiderava preservare un certo mistero sul progetto. "Bernardo era molto reticente e abbottonato sulla sceneggiatura", ricorda Pitt, "e quindi ha voluto che io la leggessi davanti a lui ma senza portarla a casa con me". Ci sono stati comunque alcuni problemi relativi alla sceneggiatura, in America soprattutto. Pur essendo quasi ‘soft’ per gli standard odierni, "Ultimo Tango a Parigi" aveva suscitato un certo scalpore e un gran numero di proteste in tutto il mondo per lo schietto ritratto della sessualità che aveva portato sullo schermo, al punto che ancora oggi alcuni agenti erano piuttosto preoccupati nel proporre questa nuova sceneggiatura di Bertolucci ai loro attori. "Gli Stati Uniti sono un paese molto puritano", commenta Bertolucci, "e gli Americani hanno parecchi problemi su questi argomenti. Ma io non ho perso troppo tempo per cercare di convincerli. Per me questa è una sceneggiatura che o ti piace immediatamente oppure non vale la pena di sforzarsi per farsela piacere. Mentre cercavo, ho incontrato Michael a New York e devo confessare che all’inizio avevo una forma di resistenza nei suoi confronti. Ero certo che avrei scelto qualcun altro, ma poi mi sono reso conto che avevo torto. Avevo paura che a causa del suo aspetto potesse apparire un narcisista, ma lo avevo sottovalutato. È un attore più che bravo. Penso che se all’inizio provavo resistenza è proprio perché mi era piaciuto molto e non volevo ammetterlo".
Protagonista del controverso film di Larry Clark Bully, dove interpreta uno dei componenti di un clan di assassini adolescenti, Pitt si è velocemente imposto come uno dei giovani attori americani più in vista del momento, grazie anche al successo della soap opera televisiva Dawson’s Creek. Questi due ruoli così diversi lo hanno in un certo senso preparato al personaggio che interpreta in "The Dreamers". "Nel film di Bertolucci sono Matthew", racconta il giovane attore, "uno studente americano che è andato in Francia per motivi di studio. Matthew è cresciuto in una tipica famiglia della media borghesia americana. È il classico bravo ragazzo e al tempo stesso è anche un po’ ingenuo. Viene da San Diego e ha vissuto una vita protetta, esattamente all’opposto degli hippie e quindi il suo risveglio, o la sua liberazione, cominciano a Parigi. E i due fratelli francesi che conosce a Parigi sono gli artefici di questa sua evoluzione che può anche essere vista come una corruzione. Forse gli aprono soltanto gli occhi o meglio gli danno il permesso di aprirli". Gilbert Adair racconta la storia: "All’inizio del film, Matthew è un ragazzo piuttosto solitario. Frequenta la Cinémathèque tutte le sere, ha pochi amici e ai primi scontri tra cinefili e polizia conosce i due fratelli, Theo e Isabel. Sono due gemelli, anche se non sono identici, e abbiamo subito la vaga impressione che i due abbiano preso di mira Matthew da tempo e che l’incontro sia in un certo senso organizzato. Da quel momento, i loro destini sono legati".
La ricerca degli attori che avrebbero interpretato Theo e Isabel è stata altrettanto lunga perché Bertolucci cercava degli attori che potessero portare sullo schermo il sentimento e l’intimità che caratterizzano i gemelli. "Non cercavo la somiglianza fisica", racconta il regista, "ma qualcosa di più sottile. I due attori scelti vengono entrambi da una famiglia della media borghesia parigina, sono entrambi abbastanza colti e consapevoli". Per Theo il regista ha scelto Louis Garrel, che ha uno strano quanto inaspettato collegamento con il ‘68. "Conoscevo suo padre", racconta Bertolucci. "È un regista che ammiro e che nel ‘68 era molto giovane e quindi ero curioso di conoscere suo figlio. Mi è piaciuto al primo incontro; c’è un qualcosa di romantico in lui ma al tempo stesso possiede anche una certa severità". Garrel ha colto intuitivamente questo aspetto del suo personaggio. "Il film parla di una coppia di gemelli che hanno bisogno di qualcuno di esterno che li aiuti nella loro iniziazione sessuale", racconta l’attore. "Conoscono il giovane americano e all’inizio lo usano entrambi proprio per la sua innocenza; Theo se ne serve per allontanarsi da sua sorella e Isabel lo vuole per separarsi da suo fratello".
Una volta scelto Garrel, Adair si è reso conto che il film stava cominciando a vivere una vita propria. "Theo è un personaggio misterioso", commenta lo scrittore, "più di quanto non lo fosse nel romanzo e questo è dovuto in gran parte a Louis. Credo che per un po’ il pubblico non si renderà conto se è Theo che manipola Isabel o viceversa. All’inizio, sembra quasi dominato da lei, ma mano a mano che scopriamo le insicurezze di Isabel, ci chiediamo se Theo non stia giocando ad un gioco molto sottile. Il gioco tra i due diventa un gioco a tre ed è di questo che il film parla realmente".
Per completare il terzetto, Bertolucci ha scelto un’esordiente, Eva Green, una ragazza che ha studiato teatro e che è al suo debutto cinematografico. "Quando l’ho incontrata", racconta Bertolucci "dopo soli dieci secondi ho detto ‘È Isabel’". È vero che la prima impressione è quella che conta. Aggiunge Adair "All’inizio Isabel è un personaggio affascinante, consapevole della sua bellezza, e del suo farsi icona, prendendo a modello le star del cinema che ammira. Ma poi scopriamo tante altre cose di lei e ci rendiamo conto che è molto vulnerabile e molto meno sicura di come appare. È intelligente, pronta, arguta e molto vivace, ma nasconde un segreto che il film ci rivelerà solo a tempo debito".
Anche se il passaggio dal palcoscenico al grande schermo la spaventava un po’, Green ha raccolto la sfida. "È un ruolo meraviglioso perché Isabel è una ragazza molto misteriosa", commenta la giovane attrice. "Non sappiamo mai se sta recitando o meno, perché in realtà sembra che reciti sempre. Si ispira alla grandi attrici del cinema - Greta Garbo, Lauren Bacall, Bette Davis — ed è molto ambigua. È come la Sfinge. A volte appare dura, invece nasconde una grande sensibilità. Ha paura della solitudine, ha paura di separarsi dal fratello, ma ha anche paura dell’amore che prova per lui".
Una volta completato il cast, Bertolucci ha svelato agli attori i suoi piani per la loro preparazione e per facilitare il loro inserimento nel luogo e nel momento storico nei quali è ambientata la storia. "Il mio obiettivo era che questi tre giovani attori contemporanei riuscissero a confrontarsi con tre ragazzi del ‘68", commenta il regista. "Il punto di partenza è stato: cosa sanno del ‘68 Michael, Louis ed Eva? Quasi nulla. In generale i giovani di oggi non sanno nulla del ‘68 e quindi ho cercato di rimediare, facendogli vedere numerosi filmati con i notiziari dell’epoca. Ho anche consigliato dei testi da noi considerati fondamentali negli anni 60, ma poi ho capito che stavo esagerando, perché in questo modo li avrei spinti a porre una serie di domande alle quali sarebbe stato difficile rispondere e quindi ho deciso di lavorare in modo più sottile".
Green si è accorta subito dello stile istintivo del regista ed è rimasta positivamente colpita. "L’atmosfera dei suoi film è inebriante e sensuale", commenta l’attrice. "All’inizio ero un po’ spaventata all’idea di lavorare con lui, ma poi mi sono accorta che è una persona molto piacevole, che ama lavorare a stretto contatto con gli attori ed è al tempo stesso molto rassicurante. È molto esigente, ma riesce a manipolarti senza dare l’impressione che lo stia facendo. Con lui sembra tutto così semplice: riesce a comunicare tutto quello che vuole con una sola parola o con un semplice gesto. È molto misterioso", conclude ridendo. “Non sai mai a cosa stia pensando!" aggiunge Pitt. "Bernardo sembra incredibilmente svagato, disordinato ma in realtà lavora sempre su qualcosa di molto preciso". Questa precisione ha avuto il suo prezzo. Mentre gli attori entravano nei rispettivi ruoli, Bertolucci e Adair si sono accorti che la storia stava prendendo una piega inaspettata. "Lavorare con Bernardo è stata un’esperienza indimenticabile e stressante al tempo stesso", racconta Adair. "Per lui, il film è un organismo vivente che ad un certo punto comincia a vivere di vita propria. Di tanto in tanto doveva mostrarmi cosa aveva filmato e montato fino a quel punto perché la sceneggiatura non era più una guida affidabile vista la direzione che il film aveva preso. Sono stato costretto a riscrivere i dialoghi in continuazione per seguire l’evoluzione dei personaggi. All’inizio ero preoccupato ma poi ho imparato una grande lezione da Bernardo. In passato pensavo che bisognasse prendere gli attori e infondere in loro il personaggio così com’è descritto nella sceneggiatura. Bernardo invece mi ha insegnato che è esattamente il contrario: è l’attore che dà forma al personaggio, che lo modella a sua immagine e somiglianza".

09/02/2007