Note di regia del film "Notturno Bus"
In genere in Italia succede che un regista abbia l’idea per un film o una sceneggiatura e poi si metta all’ardua ricerca di produttori che possano finanziare il progetto.
In questo caso, con “
Notturno Bus”, è successo l’opposto. E’ stato il produttore del film a sottopormi l’idea di dirigere l’adattamento cinematografico dall’omonimo romanzo di Gianpiero Rigosi.
Per pura coincidenza il romanzo di Rigosi l’avevo già letto qualche mese prima e mi era molto piaciuto, tanto che pensavo fosse scritto per il cinema…
Ciò che mi ha intrigato di più del progetto è stata la commistione di generi che esso mi offriva di esplorare: noir, commedia romantica, azione. Infatti si può dire che “Notturno bus” sia un film di “generi” più che di genere.
“Notturno bus” è un film corale dove spiccano i personaggi di due trentenni, due tipi solitari e singolari: l’autista di autobus e amante del poker, Franz (Valerio Mastandrea) e la ladra, bella e bugiarda, Leila (Giovanna Mezzogiorno).
Franz e Leila sono come impigliati nella metropoli nella quale vivono in particolare di notte, tra strade umide e deserte, tra locali ambigui e fumosi. Il loro tumultuoso incontro li metterà di fronte ad una scelta definitiva: continuare a vivere nella città come imprigionati in una ragnatela o trovare il modo di tagliare i fili, di liberarsi finchè sono in tempo e di fidarsi finalmente dei propri sentimenti oltre che l’uno dell’altro.
Ad aiutare più o meno volontariamente il destino dell’insolita coppia sarà un ex agente dei servizi segreti, Matera (Ennio Fantastichini), forse il personaggio più complesso e tragico del film, incaricato da un uomo di potere di scambiare una valigetta piena di soldi con un microchip compromettente.
Ad aprire e chiudere il film sarà l’aereoporto, vero e proprio coprotagonista del film e classico “non” luogo che rappresenta il desiderio di fuga per i nostri protagonisti. Ma in questo caso l’aereoporto diventerà in modo beffardo “il” luogo che aiuterà Franz e Leila a non farli più scappare da se stessi e a capire che c’è ancora qualcuno di cui si possono fidare.
L’esito finale dell’intreccio noir, per alcuni personaggi mortale, per altri vitale, rappresenta l’assurdità di un potere cinico e freddo che può decidere del destino delle persone col distacco di chi non ha una coscienza e si preoccupa solo dei propri affari.
L’esperienza di questo film è stata per me intensa e professionalmente molto importante, in particolare perché ho potuto lavorare con grandi professionisti del cinema e con un cast davvero ricco, insolito e generoso.
Con il direttore della fotografia Arnaldo Catinari abbiamo parlato molto prima delle riprese su come girare in poche settimane e con molte scene ambientate di notte, una storia così complessa. Abbiamo voluto creare un contrasto tra l’eleganza delle inquadrature e la ruvidezza dell’illuminazione decidendo di usare pochissima luce “artificiale”, per dare verità e vita ai luoghi del film. E abbiamo deciso di girare in quasi tutte le scene con un lento ma continuo movimento di macchina da presa, per comunicare un impercettibile senso di instabilità e inquietudine che accompagna i nostri personaggi.
Una delle scene più complesse da girare è stata quella dell’inseguimento tra i due autobus, montata in modo serratissimo da Patrizio Marone. Abbiamo girato per tre giorni sul lungotevere di Roma con quattro autobus che abbiamo semi-distrutto, bloccando la città e divertendoci molto, mischiando immagini riprese con gli stunt a quelle con i veri attori.
Ho dovuto faticare in particolare con Mastandrea e Pannofino alla guida dei due autobus, perché ho frenato a stento il loro istinto a scontrarsi per davvero mentre giravamo…
Davide Marengo