Comunicato di Paolo Virzì dei "Centoautori" al Pesaro Film Festival
Tra le cose principali che ci hanno unito - e che conferiscono un senso di particolare necessità ed urgenza al movimento dei Centoautori - c’è senz’altro il tentativo di darsi pazientemente da fare tutti insieme per ribaltare il luogo comune, infondato, ma espresso in continuazione, ovunque, ed in modo particolarmente aggressivo, che il cinema italiano viva d’assistenzialismo. I numeri parlano chiaro: il nostro è il cinema tra i meno finanziati tra i principali paesi europei, addirittura i nostri film restituiscono il prestito allo Stato per almeno il 70%, cosa unica nel panorama del sostegno pubblico ai diversi comparti industriali. Dunque questa convinzione è fondata semmai su un sentimento di disamore, di antipatia, di disincanto. E dal momento che la si ritrova spesso tra le righe di ogni ragionamento sul cinema di casa nostra, anche tra commentatori di differenti generazioni e di opposto segno politico e culturale, ha senso riflettere sulle ragioni che hanno partorito questo mood, e che lo alimentano. Bisogna avere la forza di riconoscere, insomma, che non ci sono solo i detrattori in cattiva fede, i mascalzoni prezzolati dai network, alla maniera di quel Renato Brunetta, autore di un libello che oltre ad infamare la generazione di cineasti attualmente al lavoro, non risparmia il fango nemmeno per Roberto Rossellini. Non ci sono, tra i commentatori, soltanto i seguaci della moda giornalistica del momento, la chiosa dallo stile sprezzante e sarcastico, che sembrano divertirsi ad individuare negli autori del cinema italiano un facile bersaglio per esercitare il proprio disprezzo in forma di corsivo. Ci sono anche tanti che hanno voltato la testa dall’altra parte, come innamorati delusi, il cui risentimento assomiglia per l'appunto a quello di chi è stato tradito. Abbiamo, alle nostre spalle, un cinema che ha contato così tanto nel definire la narrazione del carattere nazionale, che c’è anche chi non ci vuole più bene perché è giustamente arrabbiato.
Anche su questo ci siamo interrogati, in qualcuna delle vivaci riunioni del giovedì alla Libreria di Via dei Fienaroli. Fino a che punto i nostri film sono venuti meno al compito di offrire ad una comunità nazionale scontenta di se stessa, e ammalata di sfiducia, la medicina di un ritratto anche critico, ma autentico ed efficace?
Confesso che personalmente è proprio questo uno dei temi che mi appassionano di più, tra i tanti di fondamentale importanza sollevati da questo movimento. Più di una sacrosanta legge di sistema, avanzata e all’altezza dei tempi, comunque non più rinviabile. Più del legittimo grido di dolore per i tanti, troppi soprusi a danno degli autori, e non solo i più giovani e i più deboli. La necessità di stabilire un nuovo patto, vivo e virtuoso, con gli spettatori. Ovvero un compito che molti di noi, nel loro piccolo, si sono dati da tempo, ciascuno con i propri film. Il movimento dei Centoautori è un’occasione collettiva straordinaria per darsi reciprocamente una scossa, per spronarci ad un soprassalto di orgoglio e di passione, per dar vita insomma ad una nuova stagione di pensieri condivisi, e speriamo anche di film memorabili.