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Note di regia del documentario "Parolo Sante"


Marco, Peppe e Gianluca sembrano strani perché dopo il 1° maggio del 2000 costituiscono l’Assemblea Coordinata e Continuativa contro la Precarietà.
A quel tempo il lavoro precario si chiamava flessibile e pareva una cosa che stava salvando l’Italia.
Infatti si diceva che la flessibilità faceva calare la disoccupazione.
Marco dice che si favoleggiava di un’azienda dove ci stavano migliaia di lavoratori e nemmeno un dipendente.
Una fabbrica di precari, che a quel tempo campavano d’altro e magari andavano a lavorare perché ci stavano le belle ragazze.
Così allora Peppe, Gianluca e Marco ci vanno a fare volantinaggio.
A fare informazione – dice Gianluca - nemmeno contro informazione”.
E quest’azienda di favola si chiama Atesia. Fa parte del gruppo Almaviva. È il primo call center in Italia. L’8° al mondo. 300.000 telefonate al giorno. Solo nella sede di Cinecittà ci sono quasi 4000 persone.
Questo sta scritto nel sito ufficiale dove sulla prima schermata ci sta subito la fotografia di una telefonista, una bella ragazza – come dice marco. E allora ci vado a parlare con le belle ragazze e i ragazzi belli che ci lavorano dentro al call center. Gente come Emanuela. Una che se ne va al call center per guadagnare qualcosa e intanto finire gli studi. Poi ha finito gli studi e è rimasta legata a un lavoro senza tredicesima, maternità, ferie, malattia…
Jimmy dice che lavoravano a cottimo. Che oltre i 2 minuti e 40 secondi smettevano di guadagnare soldi.
Poi l’azienda gli ha tolto 5 centesimi, c’è stata la prima assemblea e i precari hanno incominciato a organizzarsi. Hanno fatto un collettivo, i “PrecariAtesia” e si sono riuniti per anni, due volte a settimana nel sottoscala di un comitato di quartiere sull’Appia. La stanza dove abbiamo fatto queste interviste.
Christian dice che puoi correre dei rischi perché non hai molto da perdere.
Così organizzano il primo sciopero per chiedere almeno l’applicazione della legge 30 e il 90% dei lavoratori sciopera. Stime reali –dice Maurizio- Una giornata di festa e liberazione col vino e le salsicce.
Il primo di dieci scioperi e di tanti sit-in, interventi, manifestazioni, incursioni nei convegni e nelle convention a cui partecipano i vertici dell’azienda. E incominciano anche a scrivere un giornalino per informare i lavoratori di quello che sta succedendo.
Così incominciano i licenziamenti e le non-riassunzioni e loro se ne vanno all’Ufficio Provinciale del Lavoro e presentano un esposto in cui denunciano le condizioni in cui si trovano a operare e incomincia una storica ispezione che durerà più di un anno.
A quel tempo in Atesia gli operatori erano circa 4000. Soltanto 400, forse anche di meno erano i lavoratori subordinati, cioè i dipendenti assunti a tempo indeterminato e 3500 avevano il contratto a progetto, il contratto che scade.
Quello dei lavoratori precari che si vanno a mettere in fila per sapere se il giorno appresso potranno tornare a lavorare.
E alla fine dell’estate 2006 gli ispettori scrivono che l’azienda gli ha fatto un contratto a progetto che non indica nessun progetto reale e serve solo a nascondere la vera natura del lavoro per “versare all’INPS e all’INAIL contributi inferiori a quelli dovuti” e risparmiare un sacco di soldi e inoltre controlla i propri dipendenti, ne controlla le modalità di lavoro, i tempi, le pause, ecc...
Questo dice l’ispezione.
Ora secondo il parere degli ispettori l’azienda deve assumere tutti a tempo indeterminato e tirare fuori i soldi che ha risparmiato non pagando il dovuto a Inps e Inail.
Sono migliaia i lavoratori passati per quel call center in questi anni,
ma quanti precisamente?
Perché erano stati assunti con quella tipologia di contratto?
Avremmo voluto chiedere queste informazioni e molte altre all’Atesia, ai rappresentanti, uffici stampa o dirigenti di Cos-Almaviva.
Fare un’intervista per fargli spiegare le loro ragioni, ma ci hanno scritto che non ritengono opportuno rilasciare dichiarazioni e interviste.
Perciò questo capitolo si apre e si chiude in poche righe.
Intanto Rosa Rinaldi, sottosegretario al Ministero del Lavoro, dice che questa e altre aziende hanno sicuramente guadagnato molto sullo sfruttamento del lavoro.
Ma quanto?
L’azienda fa una stima di quanto dovrebbe spendere se venisse applicata l’indicazione dell’ispezione.
L’ufficio legale fa i conti. La spesa è tra i 280 e i 300 milioni di euro
"Vittoria a mani basse!" - come dice Maurizio - "e così abbiamo dimostrato che con l’autorganizzazione si poteva ottenere un risultato concreto".
Ma intanto passa qualche giorno e Atesia fa ricorso al Tar che blocca l’effetto dell’ispezione.
Siamo nell’autunno del 2006. Si sta facendo la legge finanziaria. L’articolo 178 si occupa della questione-lavoro precario.
Le aziende devono stabilizzare i lavoratori che illegalmente hanno assunto con contratti a progetto.
Chi assumerà dovrà pagare solo la metà di quello che non ha versato negli anni precedenti, il resto, se gli bastano i fondi, ce lo mette lo Stato. Ma per essere assunto il lavoratore deve firmare una conciliazione nella quale dichiara che in passato ha firmato contratti a progetto perché realmente ha lavorato a progetto liberando le aziende dal pericolo di essere multate. Questo vale anche per le aziende che sono oggetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali non definitivi concernenti la qualificazione del rapporto di lavoro… ovvero aziende come Atesia.
Forse è un condono o forse un’amnistia.
Non è direttamente il governo a farlo, ma ogni lavoratore è un po’ come se condonasse personalmente l’azienda per la quale ha lavorato.
In tutto ciò i sindacati sono chiamati a risolvere la questione stipulando accordi.
Il collettivo dei precari è contrario. Il sindacato incomincia le trattative.
A cinecittà si fa un vero referendum e i lavoratori votano in due giorni con vere urne elettorali. Nel resto dell’azienda in giro per l’Italia si fa per alzata di mano.
In Atesia il contratto viene bocciato, nelle altre sedi invece è accettato. Così l’accordo passa.
Passa perché le mani alzate per una manciata di secondi in mezzo alla folla di un’assemblea contano quanto due giorni di referendum con schede e documenti.
E così si firma il contratto che è un part-time a 550 euro al mese.
Intanto i lavoratori che hanno fatto gli scioperi e denunciato all’Ufficio Provinciale del lavoro la loro condizione sono stati tutti licenziati, non riassunti e denunciati.

Ascanio Celestini