"Parlare di Cinema a Castiglioncello"
2008: L'Italia si racconta al cinema
Il modo per risollevare le sorti del cinema italiano? Tornare alla coralità. Questa la “formula vincente” scaturita nel corso dell’incontro “
L'Italia si Racconta al Cinema” , evento centrale della rassegna “
Parlare di Cinema a Castiglioncello”. Condotto dai critici cinematografici Paolo Mereghetti (direttore della rassegna) e Goffredo Fofi, il dibattito ha visto alternarsi quattro grandi registi del panorama contemporaneo italiano, Carlo Verdone, Matteo Garrone, Francesco Munzi, e Paolo Virzì. Dopo i saluti del sindaco di Rosignano Marittimo, Alessandro Nenci, Fofi ha subito messo in evidenza l’elemento che accomuna i due autori “tragici”, Garrone e Munzi, ai due “comici”, Verdone e Virzì: "
La grande novità, inesistente nella storia del cinema italiano, è quel senso di responsabilità che questi registi hanno scelto di assumere nei confronti del loro pubblico. In passato il cosiddetto “cinema di denuncia” non ha avuto gli effetti auspicati e anche i noir italiani finivano per mitizzare dei delinquenti". Sono film come “
Gomorra”,dunque, che fanno aprire gli occhi al pubblico e a detta del regista e cinefilo Virzì "
non ti fanno venire nessuna voglia di diventare un camorrista, come invece accade nelle pellicole americane, i cui veri eroi sono i gangster". Alcuni aspetti della realtà contemporanea italiana sono ripresi dal regista Francesco Munzi nel suo secondo lungometraggio, “
Il Resto della Notte”, in questi giorni nelle sale. La marginalità della comunità romena si scontra con la tossicodipendenza e con l’incomunicabilità, un male che affligge quella borghesia che è come se stesse, a detta del regista, in una posizione di eterna apnea, tra l’apparente normalità e la follia. A toccare temi caldissimi, come quello del precariato, ci pensa anche la commedia e ne è un esempio “
Tutta la Vita Davanti”, grottesca rappresentazione della vita dei giovani operatori dei call-center. E proprio il regista, Paolo Virzì, riallacciandosi ad un intervento di Fofi, ha messo in evidenza il paradosso che fa corrispondere il momento di grande vivacità del cinema italiano al momento di crisi che vive il paese. Da questa situazione negativa non sembrano destinati a salvarsi nemmeno le “maschere” del cinema di Carlo Verdone. Nei tre episodi di ”
Grande, Grosso e Verdone”, dietro alla comicità dell’attore romano, si nasconde una critica agli intellettuali, grandi in aula, perdenti nella vita, quasi una sorta di Jekill e Hide e la rassegnazione alla “funerea” morte dell’eleganza. Dalla Roma verdoniana, non più caratterizzata dalle chiacchiere di quartiere, ma ormai vittima del cinismo e del sospetto, si passa alla Napoli di “
Gomorra”, set naturale di una vera e propria guerriglia urbana. Garrone, che ammette di aver sempre sognato di girare una commedia, finendo sempre per fare dei drammi, risulta, a detta di Fofi, un vero e proprio innovatore nel dirigere la pellicola. Per individuare le giuste facce dei personaggi ha fotografato miglia di persone e, come adottato ai tempi in cui dipingeva a olio, ha girato e rimontato le sequenze più volte, fino a raggiungere la “giusta tonalità”. Ma l’elemento di grande cambiamento è il rapporto che ha con i suoi colleghi-tecnici: non si tratta più di un lavoro autonomo, ma il regista si sveste dei panni dell’autore, per calzare quelli del “coordinatore”. Così il primo vero pubblico diventano quelle cinquanta persone che stanno dietro la macchina da presa , per Garrone un "
test fondamentale perché quello è il vero giudizio popolare". Tornare alla coralità, quindi, per riscoprire il piacere di condividere il lavoro, di mostrare sfaccettature diverse di uno stesso paese o , come avviene nel caso del movimento dei
100autori”, trovare un momento per condividere le proprie esperienze e aiutarsi a migliorare la “macchina dei sogni” italiana.
22/06/2008, 13:10
Antonio Capellupo