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Intervista al regista Andrea Molaioli


Abbiamo intervistato durante la 5. Edizione del Magna Graecia Film Festival a Soverato (CZ) il regista Andrea Molaioli, autore della pluripremiata (10 David di Donatello, 4 Nastri d'Argento, 4 Ciak d'Oro e 2 Globi d'Oro) opera prima "La Ragazza del Lago": "Cercavo l’inquietudine e forse per questo ho scelto il Friuli, un luogo bello e inquieto allo stesso tempo."


Intervista al regista Andrea Molaioli
Il regista Andrea Molaioli
Tempo fa ha ammesso che senza Servillo forse il film non ci sarebbe stato. Cosa la affascinava di più del suo modo di recitare?
Andrea Molaioli: Quando lessi il romanzo ho creduto da subito che il personaggio potesse essere nelle sue corde e che potesse avere le sfaccettature e la rotondità che a me piaceva che ci fosse. La fortuna è stata che questa mia prima idea sia stata subito accolta e non mi sono dovuto rimettere a cercare altri possibili interpreti. La conoscenza di Toni-attore l’ho approfondita guardando tutto ciò che ha fatto per il cinema e buona parte di quello che ha fatto per il teatro come “Le False Confidenze” o “Sabato,Domenica e Lunedì”. Mi fa sempre imbarazzo parlare di lui perché non riesco ad usare aggettivi normali, perchè bisogna inevitabilmente ricorrere a superlativi. L’averlo visto in particolare nei primi due film di Sorrentino e in particolare ne “Le Conseguenze dell’Amore”, che amo molto, era stata una rivelazione, con quella capacità cinematografica di raccontare mondi straordinari facendo veramente poco se non addirittura nulla. Una capacità rarissima, quella potenza con cui si riesce ad investire lo schermo e ad uscirne arricchiti.

Ha lavorato da solo alla costruzione del personaggio?
Andrea Molaioli: Nella costruzione del personaggio abbiamo lavorato assieme. Toni poteva lavorare senza dover ricorrere a nessuna inflessione dialettale, ma ci piaceva l’idea che questo commissario si portasse una provenienza geografica forte da un lato perché era un elemento in più per renderlo un personaggio altro e poi perché mi piaceva la possibilità, attraverso piccoli momenti più leggeri, di dare un arricchimento maggiore, non per abbassare la tensione, ma perché pensavo che quelle caratteristiche potessero completare il personaggio.

E’ stato aiuto di nomi illustri del calibro di Nanni Moretti, Carlo Mazzacurati e Marco Risi. Cosa porta nel suo bagaglio personale di quelle esperienze?
Andrea Molaioli: Preciso che il mio è uno dei tanti percorsi per arrivare alla regia. Io ci ho messo davvero tanto, e l’opera prima è arrivata a quarant’anni, anche se in Italia in media è più o meno così. Spero di essermi portato dietro qualcosa nella metodologia d lavoro. La collaborazione più vasta è avvenuta con Moretti, un cinema così particolare, che se cerchi di riproporre, scadi nello scimmiottamento. Vorrei essermi portato dietro l’attenzione, la meticolosità e la responsabilità, dei valori che hanno a che fare con il mestiere in generale,prima ancora dell’idea d messa in scena. Uno cerca poi di fare il proprio cercando di fare del cinema partendo dalle proprie conoscenze, al di là delle collaborazioni. Ho avuto la fortuna di lavorare con persone che ho apprezzato come professionisti e come uomini.

Una ragazza trovata morta a bordo d’acqua può far venire in mente al popolo di cinefili la Laura Palmer di “Twin Peaks”, grazie anche all’inquietudine tipica di Lynch. Quali sono gli autori che l’hanno ispirato?
Andrea Molaioli: Capisco che possa sembrare assurdo, ma ingenuamente non ho mai pensato a “Twin Peaks”. All’epoca l’ho amato, non adorato, forse perché amo i film meno lynchiani come “Una Storia Vera”. Mi rendo conto che l’accostamento tra le due ragazze trovate morte a bordo d’acqua sia immediato, ma io mi sono mosso verso altre strade. I miei riferimenti erano da un punto di vista letterario Dürrenmatt de “La Promessa” e per la costruzione cinematografica del personaggio di Toni, il commissario Ingravallo di “Un Maledetto Imbroglio” di Germi. Certo, cercavo l’inquietudine e forse per questo ho scelto il Friuli, un luogo bello e inquieto allo stesso tempo. Siamo quello che siamo attraverso quello che abbiamo visto e a volte escono fuori da soli alcuni momenti cinematografici vissuti da spettatore.

Punto fermo nel film è il rapporto padre-figlio, che si riscontra in almeno quattro situazioni. Perché ha scelto di approfondire così a fondo questo tema?
Andrea Molaioli: Nel romanzo c’era questo tipo di tematica e volevo indagarci nel film. Di sicuro il tema padre-figlio declinato in una sorta di inadeguatezza dell’essere padri o figli, insieme al rapporto con la malattia e in particolare con le persone malate che si amano, volevo che fossero centrali per girarci attorno. Ho cercato di trattarli in modo discreto, mettendoli al fianco di un’altra storia. La storia personale del commissario non era presente nel romanzo, ma piaceva potesse avere una sorta di gancio emotivo con la storia per portarlo alla soluzione del giallo.

Le musiche di Teho Teardo, più che fare da sottofondo spezzano con le immagini. Perché questa scelta?
Andrea Molaioli: Conoscevo la musica di Teardo e sono sempre stato convinto che questo film avesse bisogno di una commistione tra strumentazione classica, tipo il violoncello, e l’elettronica, non esaltando i momenti, ma andando in contrapposizione. Lo stesso l’ho fatto con gli attori, lavorando sulla sottrazione e al montaggio, grazie a Giorgio Franchini. Non volevo indugiare sulle cose, ma volevo andare via prima dell’elemento della commozione, non per giocare in modo sadico col pubblico, ma perché lo trovavo il modo giusto per parlare col pubblico in modo rispettoso e convincente.

27/07/2008, 19:15

Antonio Capellupo