Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
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Note di regia del documentario " Il Tassidermista"


Note di regia del documentario
Entrando in quel laboratorio pieno di pentoloni fumanti, di teschi e cadaveri congelati mi sono chiesto quale fosse il motivo che inducesse ad imbalsamare un animale? O addirittura a voler imbalsamare la zia come nell'inquietante aneddoto raccontatomi da Agostino. E' La necessità di combattere la morte, di esorcizzarla? Un’amore frainteso per il soggetto imbalsamato? O semplicemente il tentativo di perpetuarne il ricordo.
Torna alla mente Psycho, in cui la passione di Norman Bates di impagliare gli uccelli appare collegata al suo bisogno di far sembrare vivo ciò che in realtà è morto. O il protagonista di "Un corpo" di Camillo Boito che imbalsama l'amata per sottrarla all'orrore della decomposizione.
In una società intenta a cancellare il pensiero del dolore e della decadenza, la morte è qualcosa che ci inquieta e ci disturba. La morte appare il "nuovo tabù" della società di oggi, il grande "rimosso" dell'immaginario collettivo.
Come dice Cattelan, la morte è un soggetto straordinario, l'unico che abbia lo stesso peso della vita. Se vuoi parlare della vita devi pensare prima alla morte.
Mi ha colpito una frase di Agostino: "Io non ho mai ucciso un animale. Mi arriva morto.
Poi, ti metti lì con un po' di pazienza e con quello che sai fare e cerchi di ridargli un po' di vita". Forse è questo il senso dell'arte della tassidermia, o forse dell'arte in generale. Noi moriremo, ma forse l'arte resterà.

Maurizio Radice