Note di regia del film "Dall'Altra Parte del Mare"
E’ un film che parla della shoah e lo fa in maniera multimediale, in questo film c’è cinema, ma anche teatro e si parte da un video girato 30 anni prima, nel quale una deportata di Auschwitz racconta la sua esperienza di perseguitata sotto il regime nazista, che l'aveva segnata in profondità, esperienza che s’era fissata lungo i meandri della mente, dentro la memoria, infiltrata nei pensieri quotidiani. Il suo “esistenzialismo” è un derivato composto di dolore e silenziosa attesa, e ora solo la sua immagine continua ad esistere nello sfondo di un teatro di periferia dove gli attori lavorano alla messa in scena dell’olocausto. Però il regista è roso dal dubbio e dalle incertezze. Il Comune di Trieste gli ha commissionato uno “spettacolo” teatrale del giorno della MEMORIA, ma è mai possibile - si chiede - “spettacolarizzare” l’evento. Probabilmente aveva letto o visto il dramma teatrale di Fassbinder “Per un pezzo di pane”. Il conflitto si instaura tra lui e la sua amica Clara, regista del video della deportata di Auschwitz, la quale mantiene un approccio più consueto e meno critico della funzione dell’attore: il suo compito è quello di rappresentare anche l’orrore.
Alla fine tutto rimane sospeso nel vuoto e nel grigiore dell’esistente, probabilmente la rappresentazione non si farà.
Inserire il teatro nel cinema, ovvero il teatro nel racconto filmico, rischia di creare un ibrido infruttuoso per tutti e due i media; la recitazione “teatrale” ad esempio è considerata un difetto nel cinema.
Una cosa ancora diversa è il teatro visto in TV, chi non ricorda la bellissima regia di Giuseppe Bertolucci di “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, io ho cercato di filtrare attraverso la macchina da presa delle scene di teatro quasi improvvisate lasciando il più possibile l’iniziativa agli attori….;
Già la sceneggiatura maturava un conflitto tra il regista rimasto integerrimo teoreta di un approccio “antispettacolare” e l’amica l’attrice che invece voleva una rappresentazione più naturalistica, ne consegue la difficoltà di trovare un’intesa che attraversa il gruppo di attori dividendoli in due opposte fazioni, testimoniando con ciò un problema comune che tutti abbiamo quando vogliamo e ci sforziamo di fare qualcosa insieme. Si scontano cioè le differenze dovute ai diversi approcci, a volte però risulta essere solo una difficoltà di comunicazione, con la conseguente incapacità di costruire un gruppo coeso, e quindi senza riuscire a ottimizzare le energie collettive. Quando si verifica questo, è per mancanza di carisma del regista? Può darsi. Può darsi anche che sia l’effetto di un eccessivo criticismo, un voler discutere su tutto. Alla fine tante idee svaporano e vanno ad aumentare il quaderno delle intenzioni pieno di bellissimi discorsi, subentra poi un senso di stallo, di stagnazione e di sterilità: impotenza che diventa paralisi e rinvio continuo…
Jean Sarto