Fondazione Fare Cinema
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Note di regia del documentario "L'Amore che
Non Scordo, Storie di Comuni Maestre"


Note di regia del documentario
Girato con tre telecamere rimanendo a lungo a contatto con gli alunni e con gli insegnanti, il film racconta quello che della scuola non si vede, che non si trova nei programmi didattici o ministeriali, nelle pagine dei giornali sempre attenti agli elementi negativi e scandalistici. “L’amore che non scordo” racconta le difficoltà e la bellezza di un continuo scambio umano così particolare e vivo nel quotidiano, la capacità di tante donne di trasmettere il sapere attraverso un coinvolgimento emotivo e personale da cui è impossibile prescindere, e la fiducia condivisa di poter continuamente crescere e “ricrescere” – come di Dichiarazione delle registe
Questo film nasce da un lungo percorso fatto assieme ad alcune maestre di Bologna, Milano e Roma. Ci siamo conosciute più quattro anni fa, in occasione della proiezione di alcuni nostri documentari. Qualche tempo dopo ci hanno contattato parlandoci del loro desiderio di fare un film sulle maestre. Come un film? Una fiction? Una storia da inventare insieme? No, l’idea era quella di provare a raccontare quello che succede davvero tra una maestra e i bambini. Perché non si sa. Perché non si immagina di quanta vita, passione, energia vive una relazione tanto particolare.
Difficile, soprattutto all’inizio, parlarne per bene, difficile capire - almeno per noi che ne sapevamo davvero poco - quanto il mestiere di insegnare non consista solo nel farsi passaggio di un sapere che dagli adulti, dalla società arrivi a bimbe e bimbi. Difficile anche riuscire a decidere cosa mettere a fuoco di una realtà tanto ricca e complessa, a cui noi stesse ci accostavamo con non pochi pregiudizi.
Per noi registe, chiamate ad ascoltare le loro storie, è stato come aprire una porta e scoprire un mondo al di là dei luoghi comuni, delle interpretazioni sociali o sociologiche, della nostra stessa immaginazione. Siamo così andate via via scoprendo quanto la scuola elementare sia principalmente un luogo di relazioni uniche, irripetibili e che il saper stare in quelle relazioni, coi limiti e le possibilità che presentano, è un sapere fatto di esperienza, silenzioso ma importante, importantissimo.
Quello che abbiamo insieme deciso di raccontare, via via con sempre più entusiasmo e gioia, accettando il rischio dell’imprevisto, è proprio questa unicità, questa magia di momenti irripetibili e immancabilmente formativi che ogni bimbo o bimba vive assieme agli altri e alla propria maestra. Mettendo in luce quanto c’è di buono, di bello, che vale la pena di guardare e salvaguardare, sopratttutto in un periodo come il nostro presente in cui lo sguardo e gli spazi visivi che apre risentono fortemente di una tensione al pessimismo, alla denuncia, alla sfiducia, a concentrare l’attenzione su ciò che non va, che non piace, che non dovrebbe esserci.
Non è un’indagine sulla scuola, e non vuole esserlo.
Abbiamo scelto la parzialità e cercato di raccontare una bellezza invisibile agli occhi dei media, delle grandi statistiche, dei programmi didattici o ministeriali.
Abbiamo lasciato che ci contagiasse la fiducia con cui i bambini fanno le domande, raccontano se stessi e la cura, l’attenzione, l’affetto con cui chi ha scelto di insegnare li ascolta, li accoglie, donando quello che sa e che ha.
Quello che passava tra loro, e a cui abbiamo avuto il privilegio di assistere, abbiamo voluto chiamarlo amore. Provocando forse, ma neanche più di tanto. Sentendo e accettando l’imbarazzo stesso delle maestre a vederlo così, nominato su uno schermo.
"L’Amore che Non Scordo". Non è solo il loro. È l’amore che trovavamo nei primi piani, negli occhi dei loro bimbi e bimbe, nella loro richiesta di essere accolti, guidati, ascoltati. L’amore che abbiamo respirato. Un amore tanto comune da essere quasi scontato, non visto, non riconosciuto. Quello che ognuno e ognuna di noi ha provato per chi gli ha insegnato qualcosa di importante. Quello attraverso cui passa tutto l’importante, perché non può che passare da lì.

Daniela Ughetta e Manuela Vigorita