Intervista al regista Giuseppe Sansonna
sul documentario "Zemanlandia"
Che tecniche ha usato per la realizzazione del documentario "Zemanlandia"?
Giuseppe Sansonna: Ho voluto raccontare una vicenda umana. Un’impresa che nasce da una forte sintonia. Volevo che queste dinamiche emergessero senza essere spiegate. Ho deciso di rinunciare all’intervista classica, frontale.
Una delle sequenze cardine del documentario vede Zeman e il clan storico del Foggia, immersi nel tressette. Volevo che raccontassero la loro vicenda in maniera fluida. Volevo che si dimenticassero della steadycam che gli girava intorno. Mi hanno preso alla lettera. Dopo mezz’ora erano totalmente immersi nella partita. Nessuno parlava del Foggia, pensavano solo a vincere e a scherzare tra di loro. Io ero preoccupato ed estasiato allo steso tempo. Erano quindici anni che non si ritrovavano a giocare insieme. Sembrava che si fossero lasciati il giorno prima. Poi gli aneddoti, pian piano, sono affiorati da soli. Per la prima volta, ho visto Zeman ridere di cuore, felice.
Pasquale Casillo, il presidente del Foggia zemaniano, è un altro dei protagonisti del documentario. Cosa ci puoi dire di lui?
Giuseppe Sansonna: Se Zeman ha la fissità gelida degli antieroi di Kaurismaki, Casillo sembra fuggito da un set di Martin Scorsese. I capelli foltissimi, nerolucidi con qualche riflesso grigio. La pelle scura, da vesuviano. Un sorriso largo, che ammalia e atterrisce. Un affabulatore incontenibile, con la voce roca e melodiosa. Ho scelto un salotto che mi ricordava il set dell’ultimo incontro tra Max e Noodles, in “C’era una volta in America”. Li ho fatti accomodare su di un enorme divano.
Ho piazzato tre telecamere. Una per il totale, una che cogliesse il primo piano di Zeman, una sul primo piano di Casillo. Gli ho suggerito degli argomenti di cui parlare e li ho pregati di ignorarci.
Comincia il dialogo. Zeman siede perfettamente composto, come un levriero. Casillo all’opposto, deborda ovunque sul divano, strattonando Zeman. Il boemo lo guarda sardonico, sollevando impercettibilmente il sopracciglio. Congela le emorragie verbali di Casillo con frasi lapidarie. Ripercorrono la storia del proprio turbolento idillio. Come una vecchia coppia, hanno visioni diverse degli stessi eventi. Da qui l’effetto comico.
Perché un documentario proprio sul Foggia?
Giuseppe Sansonna: Negli anni di Zemanlandia, Foggia era la meta del mio pellegrinaggio domenicale. Partivo da Bari, la mia città. Ero certo che mi sarei divertito. Il piccolo Zaccheria diventava un catino incandescente. La partita si guardava in piedi, stipati come sardine, immersi in una folla impazzita. Prima della partita, l’epifania. Ms accesa e trench chiaro, Zeman sembrava volare leggero, sospeso sulla folla adorante. “Zemàn, Zemàn” gridava lo Zaccheria. Il boemo ritirava ritualmente le caramelle offerte dal solito tifoso e si accomodava in panchina. E lo spettacolo cominciava. I “peones” foggiani, come li chiamava Brera, correvano come pazzi. Il campo era vicinissimo alle tribune. Non c’era nemmeno la pista atletica ad arginare la folla assatanata. Baggio, Vialli, Gullit e gli altri semidei del calcio capivano subito di essere approdati all’inferno. Rimpiangevano il loro Walhalla nordico e la quiete rassicurante degli studi televisivi. C’erano venticinquemila persone, ma sembravano centomila. Rambaudi ricorda che, quando tutti saltavano, il campo tremava. “Quel terremoto ci esaltava: sapevamo che la folla era con noi. Agli avversari, invece, tremavano le gambe”
Chi altro incontriamo nel documentario?
Giuseppe Sansonna: I protagonisti della partita di tressette sono Franco Altamura, storico dirigente del Foggia. Fine psicologo dal cuore grande, ha creduto in Zeman da subito. Ha sempre mediato tra la vulcanicità casilliana e la dura freddezza zemaniana, smussando gli spigoli con arguzia. Inoltre, ha creduto in questo documentario dal primo momento, rivelandosi risolutivo in molte occasioni. Una sorta di mister Wolf pugliese, a cui voglio molto bene.
Peppino Pavone, il direttore sportivo, è un autentico genio del calcio. Fondamentale nel fornire a Zeman tasselli preziosi per il suo gioco, scovati con cura certosina nelle serie minori. Irresistibile nel raccontare aneddoti da cui trapela l’atmosfera picaresca della Zemanlandia degli esordi.
Vincenzo Cangelosi, storico viceallenatore zemaniano, ha un viso antico, da scudiero medievale. Silenzioso come il suo Cavaliere. Lino Rabbaglietti e Dario Annecchino, rispettivamente massaggiatore e magazziniere, sono invece due veri goliardi, sempre protagonisti dell’atmosfera giocosa dei ritiri di Zemanlandia.
E i tifosi?
Giuseppe Sansonna: Emilio Cavelli e Leone Rossetti, ovvero il tifo come malattia inguaribile che scolpisce i volti e li trasforma in maschere. Gli occhi di Zeman si illuminano di divertito stupore, quando pensa che, da più di quarant’anni, i due si contendono lo scettro di più grande tifoso della storia del Foggia.
27/09/2009, 12:33