"La Prima Cosa Bella", un film importante ed autentico
Superate le vacanze di Natale con gli inevitabili cartoni hollywoodiani ed il “cinepanettone” italiano che non può che spaventare qualsiasi produttore o regista dotato della lucidità della considerazione dei gusti medi del pubblico (fa eccezione per fortuna il bravo e coraggioso Leonardo Pieraccioni che ne è uscito comunque più che bene al botteghino oppure una rilevante opera prima come “
Dieci Inverni” che si è difesa altrettanto positivamente), gli autori riprendono lentamente il controllo del mercato del cinema italiano. Dopo Verdone, in trepidante attesa di Gabriele Muccino, arriva venerdì nelle sale il nono lungometraggio di
Paolo Virzì, indubbiamente uno dei cineasti più preziosi e giustamente riconosciuti nel panorama del cinema del nostro paese. “
La Prima Cosa Bella” non è infatti un’espressione adeguata al panorama del cinema e della poetica del regista livornese dal momento che, già con la sua pregevole opera d’esordio “
La Bella Vita” (1994), Virzì aveva dato dimostrazione del suo indiscutibile talento che non avrebbe mancato di regalarci ulteriori perle preziose.
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La Prima Cosa Bella” è infatti l’ennesimo film che ci fornisce la palese conferma di quanto è vivo e vegeto il vero cinema italiano nel caso qualcuno avesse ancora voglia di impegnarsi in trite e ritrite dichiarazioni gratuite. Il nuovo lungometraggio del noto cineasta toscano, per la sua evoluzione narrativa impostata sul parallelismo tra presente e passato, ricorda il recente e ancora nelle sale “
L’Uomo Nero” di Sergio Rubini, anche se nel film che uscirà venerdì in circa 400 copie non c’è nessuna forma di visionarietà né di richiami a Fellini. L’ultima fatica del regista livornese si inserisce infatti nell’altro filone che ha reso mitico il cinema del bel paese, quello cioè della commedia all’italiana qui aggiornata ai giorni nostri, compito nel quale
Paolo Virzì pare rimanere il regista più capace; il suo nuovo lungometraggio infatti, che ha un registro corale ed ha per coprotagonisti nomi del calibro di
Valerio Mastandrea,
Micaela Ramazzotti,
Claudia Pandolfi e
Stefania Sandrelli, riporta infatti alla memoria i film di certi maestri degli anni settanta, come Ettore Scola soprattutto, appunto per la loro impostazione narrativa.
La sceneggiatura del film è ben costruita sul registro di una narrazione veloce ed impetuosa, è molto verbosa ma raramente ridondante. Il problema di “
La Prima Cosa Bella”, l’unico dato che non permette di contraddistinguerlo magari come un capolavoro, risiede forse nel fatto che la troppa “carne al fuoco” ed il parallelismo continuo tra presente e passato non sempre facilità l’immedesimazione con i personaggi e l’attenzione ad una costruzione davvero approfondita di tutte le loro psicologie; ne risulta un’opera ibrida che diverte a tratti profondamente con intelligenza ma non emoziona mai veramente sino al finale che rimane la parte migliore, più sentita ed importante del film. Il personaggio della madre interpretata da
Micaela Ramazzotti e da
Stefania Sandrelli (qui davvero in parte e più che intonata), la sua vitalità ed il suo entusiasmo per la vita anche in punto di morte, sono segnali che richiamano appunto al messaggio che il regista ha a cuore, nel quale si può vedere delle positive ed incoraggianti implicazioni esistenziali e metafisiche. L’idea della dipartita, tra l’altro vissuta in modo non drammatico, che permette la rinascita di coloro che rimangono nonché la riconciliazione nei confronti del passato, è una chiusura toccante ed importante che lascia una sensazione anche superiore al sollievo ed al benessere perché riaccende le speranze che i sogni di tranquillità, serenità e felicità di chiunque di noi non siano solo una chimera riservata ai privilegiati ma un obiettivo fondamentalmente a portata di mano di tutti. Basta appunto poco, la liberazione dai blocchi e dal rancore costruito e mai o mal giudicato davvero che ci ha precedentemente oppressi, per riapprodare alla bellezza che da bambini era davanti ai nostri occhi e crescendo ci è stato sin troppo facile perdere di vista (il bagno nel mare che chiude il film è un esempio lampante e terapeutico dell’idea di positività, splendore e riscoperta della bellezza dei valori della vita che il regista intende comunicarci; mi si permetta addirittura la citazione di una canzone degli Audio 2 che mi sembra appropriata: “
c’è questo vento caldo, e schizzi d’acqua blu, un tiepido momento per capire…”). Un finale di questo tipo pare in parte ricordare quello del precedente e bellissimo “
Tutta la Vita Davanti”; anche in quel caso infatti le protagoniste approfittavano di un incontro con il passato, nel loro caso molto più recente, per rilanciare la loro esistenza ed ipotizzare una comune rinascita. “
La Prima Cosa Bella” rimane quindi il film più positivo e purificatorio di
Paolo Virzì, e l’idea di ripartire dalle origini per rilanciare il presente appare come la struttura portante più costruttiva per lasciare un messaggio di questo tipo e disperdere il precedente, e comunque costruttivo, cinismo e diffidenza nei confronti dell’esistenza che rimaneva in buona parte un elemento caratteristico di alcuni suoi film precedenti.
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Il mio ultimo lavoro non è autobiografico ma sicuramente si nutre di qualcosa di autentico” - ha dichiarato il regista - “
C’è il desiderio di fare pace con la vita e di ritrovare una patria, e tornare a girare a Livorno è stato in effetti così per me. Non ci tenevo a fare un film nostalgico perché la nostalgia è un sentimento che non mi appartiene. Il film, più che un omaggio al passato, è un omaggio alla follia amorosa e romantica di certe donne come quella che nel film interpreta da giovane Micaela Ramazzotti e più avanti negli anni Stefania Sandrelli”.
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Credo che sia l’opera più ottimista di Paolo”, ha precisato il fedele sceneggiatore
Francesco Bruni, ex compagno di liceo di
Paolo Virzi, che ha firmato il copione con il regista e con
Francesco Piccolo. “
Nel passato abbiamo firmato lungometraggi più cinici in cui più che altro lo sfondo era divertente. “La Prima Cosa Bella” è un’opera che tratta dell’impeto della voglia di vivere di fronte alla morte, quello che, per assoluta contraddizione, rinasce proprio perché si ha a che fare con essa. Il film è così una storia che parla d’amore in maniera originale dal momento che si tratta di un sentimento di affezione nei confronti di un madre; il nostro ultimo lavoro è insomma un film sull’amore più difficile da riconoscere e da accettare”.
13/01/2010, 16:12
Giovanni Galletta