Note di regia del film "Bios"
La nascita di Bios
Vengo dal teatro, mi sono sempre scritto da solo gli spettacoli che dirigevo ed ogni volta che andavo in scena pensavo ai limiti che mi imponeva il palcoscenico e mi ripetevo: pensa che cosa potrei fare se avessi i mezzi per realizzare un film! Adesso li avevo (un computer, una telecamera digitale e un programma di montaggio) ma rimanevo fermo, prigioniero di tanta libertà. Cercavo un'idea, ma non volevo il fatto di cronaca. Eppure, l'idea di Bios, mi viene proprio da un giornale. Una mattina noto un trafiletto su un esperimento fatto da un’università americana: avevano ucciso tre cani per riportarli in vita tre ore dopo. Nel 2015 - proseguiva l'articolo - si comincerà a sperimentare sull'uomo. Caspita, la morte, il grande spauracchio dell'umanità sarebbe stato sconfitto, quali le conseguenze? I nostri valori tradizionali dove sarebbero andati a finire? Si stava realizzando il sogno nietzschiano dell'oltreuomo, si sarebbe spopolato il cielo e l'uomo sarebbe diventato il padrone assoluto del proprio destino scavalcandosi? Mentre fantasticavo su questi massimi sistemi mi cade il pensiero sul nostro “cinemetto” nazionale, temi del genere ce ne sono? Non essendo un cinefilo comincio a fare una piccola ricerca sui titoli nostrani, ma nulla di tutto questo. Poi mi viene in mente che il referendum sulla procreazione assistita è stato un affilarsi di lame per tutto il pre-voto ma che, alle urne, ci sono andati quattro gatti. In effetti, in un paese dove il budget per la ricerca è un' offesa alla civiltà cosa vuoi che interessino i temi legati al bios? Nei meandri del cervello, tra questi pensieri, si fa strada una donna, Lena: ha gli occhi chiusi e l'ovatta al naso, il segno inequivocabile della morte - quella vera, non quella cinematografica - apre gli occhi si toglie l'ovatta dal naso e dice: “fammi uscire”.
Sporcare l'immagine
Finisce agosto, finiscono le riprese, inizia il montaggio definitivo. Il film lo vediamo intero per la prima volta su un televisore al plasma, dopo aver allenato l'occhio al monitor del computer: un disastro! Quel realismo dell'alta definizione, lo rendeva simile a una fiction televisiva. Comincio a effettare in tutti i modi, ma quella orrenda pulizia da cinemetto fictionaro all'italiana non si toglie. Bios urla a gran voce un desiderio di sporcizia, vuole essere artefatto. Vuole slacciamenti d'immagine, nebbioline digitali, spixellamenti sfreggiativi, appiattimento visivo; rifiuta la tridimensionalità come l'arte bizantina, come Roy Linchtenstein, vuole essere fumetto e icona. Inoltre, occorre fare qualcosa per il presa diretta. Cosa c'è di reale nella recitazione in presa diretta? Il doppiaggio rende vero un personaggio, il presa diretta rende visibile solo la bravura dell'attore. Se nel buio della sala mi trovassi a pensare: “quanto è bravo questo”, sarebbe la fine del personaggio, il naufragio del film. Che fare? La sala doppiaggio, costa troppo. Ma con il computer si può fare tutto, basta attaccare un mixer e un microfono e il gioco è fatto. L'attore deve solo ripetere il ritmo della battuta dopo averla riascoltata e con due clic si mette tutto a sincro. Anche disegnare il paesaggio sonoro in cui erano immersi i personaggi, si è rivelato facile e divertente: esistono intere banche di suoni su internet dove puoi scaricare gratis quello che vuoi, oppure costruirli direttamente col microfono, rispolverando antichi e bellissimi mestieri ormai in disuso. Abbiamo lavorato circa sei mesi in postproduzione, e ci siamo fermati quando eravamo in pace con noi stessi. Cioè quando, quell'essere che abbiamo chiamato Bios, ci ha detto: “ok, per me va bene”.
Perché autoprodurre un lungometraggio
Ci sono tantissimi festival per cortometraggi che proiettano tutti la stessa storia alla Tarantino, con tanto di pistoloni e sangue finto; oppure dieci minuti di stramberie ed effetti in cui il finale è sempre lo stesso: il protagonista si risveglia con un urlo. Insomma, i cortometraggi non sono niente, non dimostrano niente. Si possono fare carrelli, riprese con la steady, col dolly, ma alla fine non è un film, è solo un saggio. Si facevano una volta perché i costi per girare erano enormi, e potevano servire come biglietto da visita, ma vedere ancora oggi gente che si ostina a cercare soldi per fare dieci minuti di cavolate è veramente desolante. Come sapere che esiste gente che non gira la sua storia finché non passa il finanziamento dello stato.
Fabio Morichini