Note di regia del documentario "Il Sogno di Peter"
Nel maggio del 2005 AMREF mi ha invitato a Nairobi per documentare un progetto di video partecipativo chiamato African Spelling Book, l’abbecedario africano. Nel corso di due mesi un gruppo di ragazzi e ragazze degli slum – coordinati da Angelo Loy e Giulio Cederna - hanno avuto l’opportunità di scrivere delle storie, filmarle e farle diventare venti piccoli film.
Da Torino siamo partiti in tre: io come regista e operatore, Fabio Coggiola come fonico e Fabio Colazzo come assistente e secondo operatore. L’impatto con la realtà urbana di una megalopoli africana è violento: la gente si stringe nelle sterminate baraccopoli dove mancano acqua e spazio. All’ultimo posto nella scala sociale degli slum ci sono i ragazzi di strada. Sono tantissimi, vivono in branco per farsi coraggio, dormono in quelle che chiamano basi, vale a dire qualsiasi luogo che offra un minimo riparo. Vivono di woi, vale a dire raccolgono nella spazzatura plastica, metallo, che rivendono a peso. Coi pochi soldi che fanno mangiano e si comprano la colla. La sniffano tutto il giorno, con bottigliette appese al labbro. La colla li aiuta a sopportare e dimenticare. Poche ragazze vivono sulla strada, è troppo pericoloso, le loro sofferenze sono nascoste nelle baracche. Uscire da questa situazione non è facile, serve una possibilità. L’African Spelling Book è stata una possibilità per sessanta di loro. A cosa serve imparare a raccontare per degli adolescenti sottoposti fin da piccoli alla violenza in tutte le sue forme? Gli serve per ritrovare fiducia in sè stessi, per sentire di non essere la spazzatura che raccolgono per vivere, ma persone cui è permesso sognare anche solo una vita normale.
Fin dal primo giorno in Kenya ho cercato di capire come raccontare questa esperienza. Ho scelto Peter, il più piccolo e uno dei più problematici del gruppo. Ma, ripensandoci, è Peter che ha deciso di farsi scegliere, perchè ha bisogno di attenzioni e ha capito subito che essere protagonista di un documentario avrebbe potuto aiutarlo. La comunicazione però non era facile, non solo per la lingua ma anche per la distanza tra le nostre culture. Allora ho scelto un tramite, Samuel, l’assistente sociale che ha trovato Peter sulla strada e gli ha proposto di partecipare al progetto. Attraverso Samuel ho capito come e perchè funziona l’azione di AMREF negli slum: quelli che cercano di aiutare i ragazzi ad uscire dalla strada sono stati anche loro da piccoli ragazzi di strada. E’ l’unico modo per capirsi e anche la prova per i più giovani che ce la si può fare. Con Samuel abbiamo piano piano scoperto parti della storia di Peter e dei suoi due anni e mezzo sulla strada, ma soprattutto col tempo si è chiarito il suo sogno: tornare a scuola. Come dice Samuel, andare a scuola dovrebbe essere una cosa normale, per i ragazzi di Nairobi invece è una conquista.
Nel film racconto il percorso del cambiamento di un tredicenne vecchio per esperienze e bambino per emotività, racconto i due mesi che ho passato con lui e con gli altri, senza illudermi di averlo capito né di avergli cambiato la vita. Peter sa cambiarsela da solo, basta che qualcuno gliene offra la possibilità.
Enrico Cerasuolo