Note di regia del documentario "La Vita al Tempo della Morte"
Quando ho iniziato a lavorare a questo progetto, avevo chiara una sola cosa; che sarebbe stato un film sulla morte. Perché un film sulla morte? Molti l’hanno già fatto con risultati straordinari… Oggi ho trovato la risposta o forse, mi sono solo avvicinato a qualcosa che ha le sembianze di una risposta… Certo, gli eventi mi hanno dolorosamente aiutato, vivere è sempre più sorprendente che immaginare e forse un film come questo, serve solo a dirmi che la morte non si lascia raccontare.
La morte è esigente, richiede silenzio, pazienza, forza e meditazione. Una meditazione che a volte sconfina nella paura. Paura di svelarsi, di scoprirsi deboli, di chinarsi di fronte al destino. Più volte sono stato sul punto di abbandonare per paura. Poi ho compreso che nulla è come la morte… se non la vita stessa.
Atto primo
Ho cominciato a filmare le persone che frequentano i laghi della Lavagnina in Piemonte, durante una calda estate, attratto dalla loro ricerca di libertà, di piacere, di semplice refrigerio. Mi sono soffermato sulle dimostrazioni di coraggio dei tanti ragazzi che li affollano. Ho a lungo osservato gli spericolati tuffi, i comportamenti, i loro lasciare scivolare il tempo… Ho prodotto ore e ore di girato; corpi, pietre, acqua, licheni, foglie, vento… Ma è stato solo poi, quando i laghetti si sono spopolati, che ho cominciato a comprendere cosa stavo cercando. Le stagioni passavano ed io rimanevo lì… a filmare cosa, mi chiedevo. Poi sono arrivate le prime piogge, la luce minima dell’inverno e finalmente la porta dell’ Ade. Solo guardando attraverso il tempo si conquista il tempo. Poi tutto è stato semplice, come respirare quando si viene al mondo.
Atto secondo
Nei mesi di malattia di una persona cara, tante, troppe sono le domande che rimangono nascoste. Spesso, in prossimità della fine, non si hanno parole; è solo un lungo e assordante silenzio. Impauriti dal semplice atto dell’ascoltare, non sappiamo che tacere. La seconda parte del film è un tentativo di parlare della/alla morte in maniera diretta, provando a guardarla negli occhi, attraverso la testimonianza di chi, in un letto di ospedale o di una casa, attende il momento della dipartita. Solo parole e volti. Per conoscere sino a dove si può conoscere…
Atto terzo
Mio padre faceva l’imbianchino. Il garage è stato nel corso della sua vita; magazzino, soffitta, laboratorio, rifugio. In trent’anni credo di non averlo mai visto in ordine, anche se lui continuava a ripetersi che l’ indomani lo avrebbe sistemato. Pochi giorni dopo la sua morte, ci sono entrato per cercare un martello e ancora una volta, senza nulla avere previsto, ho trovato il pezzo mancante della storia che volevo raccontare. Latte di vernice vuote, pennelli essiccati, vestiti da lavoro, utensili di ogni tipo, ombrelli, fumetti, disegni, dischi, polvere. Pezzi di vita, piccoli segni di un’esistenza qualunque. L’intera storia di un uomo, condensata in pochi metri cubi. Strati e strati di memoria, come carta da parati…
Andrea Caccia