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Alessandro Aronadio: "Due Vite per Caso: il mio film
sull'Italia che non è un paese per giovani"


"Due Vite per Caso", opera prima del giovane regista Alessandro Aronadio, è un film sul malessere dei giovani e della nostra società, che non lascia spazio d'azione alle future generazioni, confinate ai margini del dibattito politico e del mondo del lavoro.


Alessandro Aronadio:
Come nasce l'idea per la realizzazione di "Due Vite per Caso"?
Alessandro Aronadio: Il tutto è partito dalla mia tesi di laura, su "Il Doppio" nel cinema di Cronenberg. Poi, leggendo un racconto di Marco Bosonetto, che è anche il co-sceneggiatore della pellicola, ho capito subito che questo era lo spunto giusto per creare un film sulle tematiche che volevo "sviscerare", nel rispetto del cuore del racconto di Bosonetto. Ho contattato l'autore e insieme abbiamo buttato giù un scenneggiatura che, poi, ho proposto a diverse case di produzione, fino a che Anna e Saura Falchi hanno creduto in noi. E' difficile oggigiorno per un giovane regista sconosciuto proporre ad una produzione una storia e trovare un riscontro in dei produttori che credano in te fin da subito.

Il protagonista del suo film viene travolto dal destino e da una società che lo "inghiotte". Ci può parlare di questo personaggio? Come l'ha costruito?
Alessandro Aronadio: Matteo Carli, il protagonista del mio film, è un ragazzo come tanti, un ragazzo della maggioranza silenziosa, che tenta di dare una direzione alla sua vita in una società in cui i giovani non vengono considerati e "ristagnano" senza avere una possibilità. Vi è una "adolescenza cronica", che è stata sapientemente creata.

Alla luce di questo, quindi esistono i "bamboccioni" descritti dal Ministro Brunetta?
Alessandro Aronadio: Queste uscite dimostrano che la politica è lontano dal mondo dei giovani. Non si possono fare certe affermazioni senza conoscere la situazione reale della vita quotidiana. Noto che queste tematiche non appartengono solo all'Italia, ma sono universali. Comunque il nostro è un "paese per vecchi", comandato da una classe politica "anziana".

Crede che la vita è così frustrante come quella raccontata nel suo film?
Alessandro Aronadio: E' un'epoca in cui la gioventù invece di coltivare sogni deve lottare giornalmente per la sopravvivenza. Allo stesso tempo vi è un grido rabbioso, come quello di Ivan, uno dei protagonisti del mio film che dice: "la rabbia è importante, non va nascosta ma usata".

Il locale dove si svolgono molti degli avvenimenti del film si chiama "Aspettando Godard", è solo un omaggio a Samuel Beckett, o ha un significato più intrinseco?
Alessandro Aronadio: Ho voluto chiamare il bar "Aspettando Godard" per simboleggiare un'attesa, non delle speranze, e per rendere un omaggio al grande Godard, che ha radiclamente cambiato il linguaggio del cinema. Come lui ha "rivoluzionato" la settima arte, l'attesa è per una "rivoluzione" da parte delle nuove generazioni, che dovranno prima o poi prendere in mano la situazione e sovvertire lo stato attuale delle cose. Il grande dilemma è questa attesa, che non sappiamo quando finirà.

Cosa c'è di autobiografico in "Due Vite per Caso"?
Alessandro Aronadio: E' lo stato di frustrazione e di malessere che avverto giornalmente nella società ed al quale sono andato incontro personalmente in questi anni. Al Festival di Berlino, dove è stato presentato in anteprima "Due Vite per Caso", si è parlato del mio film in termini di "realismo poetico", poichè descrive la situazione reale del nostro paese. Al Festival di Buenos Aires, invece, hanno apprezzato l'universalità della mia opera, che non ha un luogo definito d'ambientazione, ma per le tematiche toccate è vicina a qualsiasi giovane del mondo.

Come ha scelto il cast del film?
Alessandro Aronadio: Ho cercato di creare un mix tra attori noti come Lorenzo Balducci, Isabella Ragonese, Sara Felberbaum, Ivan Franek, Monica Scattini e Rocco Papaleo, solo per citarne alcuni, ed attori alla prima esperienza cinematografica usciti da poco dall'Accademia o dal Centro Sperimentale. Sono orgoglioso che personaggi del calibro di Rocco Papaleo, che avevano dichiarato di non voler prendere più parte a piccoli ruoli, si siano concessi anche per delle piccole parti, spinti dalla forza della storia che avevo scritto insieme a Marco Bosonetto. Credo che il cast scelto è stato perfetto e credibile. Posso affermare che questo mix ha funzionato davvero!

Come è avvenuto, invece, l'iter produttivo del film?
Alessandro Aronadio: L'idea del film è nata nel 2004 e solo nel 2007 abbiamo trovato una produzione disposta a produrlo. Era una sceneggiatura complicata, però Sauro ed Anna Falchi hanno creduto nella forza della nostra idea. Nella pellicola, anche se marginalmente, tornano alla ribalta i fatti del tragico G8 di Genova, dove morì un ragazzo per mano delle forze dell'ordine. Ormai questo avvenimento sembra dimenticato dall'opinione pubblica che l'ha fatto passare come una tragica fatalità come anche il caso Cucchi e il caso Sandri, etc. E' come tutto fosse dovuto al destino, alla casualità. Invece c'è qualcosa di più profondo, dovuto ad una società alla deriva. L'Italia sta diventando una "polveriera" pronta ad esplodere, e questo per un paese che si reputa civile è paradossale.

Come considera l'attuale panorama cinematografico italiano?
Alessandro Aronadio: Il cinema in Italia è ormai "colonizzato" dalle produzioni statunitensi. Non c'è la voglia di invertire questa rotta e rendere l'industria cinematografico forte come un tempo, quando dettavamo "legge" a livello mondiale. La cultura sembra qualcosa che da fastidio nel nostro paese e per questo non sono investiti i capitali adeguati. Comunque, specie nell'ultimo anno, sono usciti in sala film di giovani autori che fanno ben sperare. Sono molto fiducioso sulla rinascita del cinema italiano, perchè le opere prime e seconde prodotte in questi anni dimostrano che ci sono tanti bravi autori emergenti.

07/05/2010, 19:05

Simone Pinchiorri