Note di regia del documentario "Il Paese dei Bronzi"
Arrivo a Riace nell’aprile 2009. Avevo sentito che stava accadendo qualcosa di strano, di diverso. Mimmo Lucano lo conoscevo già, l’avevo sfiorato durante le riprese del mio film precedente, la lotta di un uomo a cui è stato ucciso il figlio, sempre nella Locride: quest’uomo invitò tutti e 42 i comuni della Locride a costituirsi parte civile nel processo contro i killer del figlio. Mimmo fu l’unico sindaco che rispose all’appello. Così me ne innamorai, sapevo di voler fare qualcosa su di lui nel mio prossimo film.
Arrivato a Riace capisco che fare un documentario solo su di lui sarebbe riduttivo, vista la rivoluzione a cui stavo assistendo: in Italia stava iniziando la stagione dei respingimenti, qui invece gli si dava un’alternativa di vita.
Inizio a fare amicizia coi riacesi e coi migranti. Iniziamo a giocare a calcetto, a seguire le partite nei bar. Il calcio è stato decisivo: a me per integrarmi con tutti loro, e ai migranti per integrarsi coi riacesi. Avrei voluto trovare un titolo “calcistico”, ma non è venuto fuori.
Nei sei mesi rimasto a Riace vedo passare un centinaio tra giornalisti e fotografi da tutto il mondo, e una decina di documentaristi: tutto ciò per via dei respingimenti e anche per le intimidazioni mafiose subite da Mimmo. Restavano alcuni giorni e sparivano.
Il mio obiettivo è stato chiaro e semplice sin dall’inizio: nessun’intervista, concentrarsi sul presente e non sul passato, fare un doc su Riace intera e non solo sugli immigrati.
Forse anche per questo riacesi e immigrati mi hanno accettato più facilmente. Tra di loro prendevano spesso in giro i giornalisti per la ripetitività delle domande che gli facevano.
Durante la campagna elettorale il clima era pesante, spesso si sfiorava la rissa tra i sostenitori delle 2 liste.
Poi, come ciliegina sulla torta, arriva Wenders. Non sapevo se essere invidioso o lusingato. D’altronde viene a fare un film sul mio stesso soggetto. Invece è una bella esperienza, molto formativa. I riacesi non sapevano chi era, per loro era solo uno dei tanti. Poi lo hanno capito a poco a poco e si sono inorgogliti, giustamente.
E’ incredibile la sofferenza dei riacesi di fronte al tema bronzi: si sono sentiti defraudati quando glieli hanno portati via. In quasi tutte le case e nei bar ce n’è una foto. Nella scuola li studiano. Mentre Mimmo continua nel sostenere la casualità di quel fatto, confrontandolo con la volontà di quest’altro, l’accoglienza, voluta e strutturata volontariamente dai riacesi. Ha ragione lui. Così, nel decidere il titolo, mi sono ritrovato di fronte ad un sacco di belle parole, un sacco di belle motivazioni, un sacco di belle cose che ci sono a Riace: invece ho voluto scegliere provocatoriamente proprio questo, per sottolineare ciò che a Riace non c’è, e che invece lo ha reso famoso nel mondo...proprio ciò che non ha...
Vincenzo Caricari