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Emilio Solfrizzi: "Nel nostro film non c’è Belen, ma Talita"


Emilio Solfrizzi:
Un giorno mi ha chiamato il mio agente Gianni Antonangeli per dirmi di raggiungerlo in studio perché voleva farmi incontrare una persona che mi sarebbe piaciuta tanto. Quando sono arrivato, insieme a lui ad aspettarmi c’era Eugenio Cappuccio: vestito di nero, barba incolta, occhi neri e sguardo intelligente e aperto. Avevo molto amato i suoi film precedenti, "Il caricatore", "Volevo solo dormirle addosso" e "Uno su due"; Eugenio era uno dei registi con cui mi sarebbe piaciuto lavorare da sempre. Quando mi sono seduto mi sono subito augurato di piacergli, che le cose che aveva da dirmi mi piacessero, e che il nostro fosse un incontro bello e costruttivo. Mi ha raccontato un’idea per un film da perfezionare e approfondire, ma il personaggio di Piero Cicala - un ex cantante dimenticato da tutti subito dopo aver avuto trent’anni prima un enorme successo con un solo disco - era già molto affascinante: un protagonista a tutto tondo, uno di quelli che un attore amerebbbe incontrare nella sua carriera.

Tra me ed Eugenio è nata una vera e profonda collaborazione creativa: molte idee, passaggi di copione ed evoluzioni della sceneggiatura sono stati limati da noi due insieme, oltre che ovviamente che dall’ottimo Piersanti; c’è stato un vero confronto, a volte anche aspro e teso, ma sempre sincero, finalizzato per entrambi a proporre il meglio per il film. Siamo due tipi sanguigni con matrici comuni, ma abbiamo subito maturato e conservato grande stima, oltre che un grande affetto reciproco.

Piero Cicala è un personaggio straordinario, con molti vuoti ma non vuoto. Un uomo che “manca” di qualcosa, con molte domande senza risposta e con un profondo senso di inadeguatezza rispetto alla vita. Mi interessava l’idea sorprendente di poter ri-trovare se stessi anche a 60 anni; abbiamo lavorato alla costruzione di un personaggio che doveva rappresentare anche fisicamente il senso del fallimento, portandone su di sé tutti i segni.

L'incontro con Belén è stato normalissimo. Credo che Belén abbia interpretato questo lavoro con lo spirito giusto. Aveva una gran voglia di fare bene e si è affidata completamente ad Eugenio permettendogli di lavorare su di lei e sulla recitazione senza rinunciare però a se stessa: ha infatti contribuito attivamente alla costruzione del suo personaggio, non solo scegliendosi il nome beneaugurante di Talita, ma accettando anche di modificare il suo look con una parrucca di capelli molto corti di un colore diverso dal suo (che ne lascia comunque intatto il fascino). Mi parlavano di lei come di una ragazza intelligente e sensibile ed ero certo che si sarebbe messa al servizio del film. Eugenio poi è riuscito a “servirla” al meglio: nel nostro film non c’è Belén, ma Talita.

Anche con gli altri attori mi sono trovato benissimo! Iaia Forte ha costruito molto bene il suo divertente personaggio dell’ex moglie volutamente “sopra le righe”, che ha rinunciato a tutto per stare vicino al suo uomo: è riuscita in pochi giorni a rendere chiarissimi gli stati d’animo di questa donna e i molti “sottotesti” della sceneggiatura. Davvero un’attrice fantastica. Pur essendo pugliese, non avevo mai lavorato con Totò Onnis e Fabrizio Buompastore, pugliesi anch’essi! Siamo stati complici da subito, il che ci ha consentito di alleggerire le fatiche del set con grandi risate oltre che di rivendicare il nostro “orgoglio pugliese” in una troupe di “forestieri”. Siamo amici.

Il nostro produttore Antonio Avati era sempre sul set. Proprio sempre sempre! Ha seguito la lavorazione nei minimi dettagli, credo anche per un fatto affettivo essendo partita da lui l’idea primaria del film.

Mi è sembrato da subito una persona sincera e chiara: ha ammesso di conoscermi poco come attore, ma che invece la sua famiglia è appassionata sostenitrice della serie di Raiuno di cui sono protagonista da tempo, "Tutti pazzi per amore", e ogni tanto si scusava di non conoscerne lui i dettagli. Sono molto fiero del rapporto di simpatia e di stima che si è creato tra di noi sin dall’inizio, cresciuto poi man mano che andava avanti la lavorazione.

Vorrei segnalare anche che questo film si è giovato dell’enorme capacità delle nostre maestranze riunite in una troupe tecnica capeggiata dal direttore della fotografia Gian Filippo Corticelli.

Io soprattutto sono molto riconoscente ai reparti di trucco e parrucco che nel film giocano un ruolo di fondamentale importanza: mi hanno consentito di fare al meglio il mio lavoro senza dovermi preoccupare di null’altro. Ho potuto giovarmi dell’incredibile abilità e pazienza di Luigi Rocchetti e di Max Duranti che hanno messo al servizio mio e a del film il loro talento assoluto, invidiato e riconosciuto in tutto il mondo.

Emilio Solfrizzi

16/04/2011, 09:53