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Emiliano Sacchetti: "A New Day has Com nasce da un incontro fortuito"


Intervista esclusiva a Emiliano Sacchetti regista di A new day has come in concorso al primo festival italiano online del cinema documentario, visibile su www.viaemiliadocfest.tv.


Emiliano Sacchetti:
Miglior film e premio giuria giovani al 3° Festival del cinema dei diritti umani di Napoli, "A new day has com" di Emiliano Sacchetti racconta la storia di due famiglie palestinesi in fuga da Baghdad che giungono, dopo anni trascorsi in un campo profughi nel deserto siriano, in Italia e in Svezia per ricominciare una nuova vita. Il film oltre a raccontare uno degli aspetti meno noti della diaspora Palestinese, assume un valore particolare in quanto è frutto di una co-produzione tra Italia, Svezia ed Emirati Arabi che ha visto il fondamentale contributo dell’emittente Al Jazeera.

Il mondo del web, la multimedialità e le nuove tecnologie influiscono sul tuo modo di creare film? E se sì, come?
Emiliano Sacchetti: Il mio modo di lavorare, nella sua dimensione creativa e produttiva, in genere prescinde sia dal web che dalla multimedialità. Ciò che mi spinge a fare documentari è il desiderio, la necessità di raccontare per immagini storie dimenticate o giudicate marginali dai mass media. Non ragiono, insomma, in termini di pubblico né di posizionamento del prodotto. Nella fase di postproduzione e di diffusione, invece, ritengo che le nuove tecnologie e il web siano utili strumenti per velocizzare processi che nel passato richiedevano tempi decisamente più lunghi.

Credi che il web possa essere decisivo nella diffusione del cinema documentario?
Emiliano Sacchetti: In Italia oggi il documentario vive una stagione paradossale: da una parte il digitale ha democratizzato e ampliato la base dei documentaristi, decuplicando il numero di film realizzati ogni anno; dall’altra, i sempre più esigui spazi di messa in onda hanno spinto cineasti e filmaker a rivolgersi – per produrre i propri lavori – a soggetti altri rispetto alla committenza televisiva e ai produttori storici. Con il risultato che molti film degni di nota stentano a raggiungere il pubblico dei non addetti ai lavori, limitandosi al circuito dei festival e alle proiezioni off. In questo senso, sono convinto che il web sia in grado di produrre spazi alternativi utili alla diffusione del cinema documentario.

Com’è nata l'idea di questo documentario che racconta uno degli aspetti meno noti della diaspora Palestinese?
Emiliano Sacchetti: Questo film nasce da un incontro fortuito. Nell’ottobre del 2009 ero in Calabria per la promozione di un mio film e, leggendo sul giornale una notizia sull’accoglienza dei profughi a Riace, ho deciso di prolungare il viaggio per approfondire quella realtà. È dalle testimonianze dei Palestinesi che in quei giorni erano appena arrivati nella Locride e dalla scoperta che nel campo profughi di Al Tanf vivevano ancora centinaia di persone in condizioni subumane che ho deciso di raccontare la loro storia. Una vicenda “minore”, quella dei Palestinesi cacciati da Baghdad, rispetto alla questione della Palestina occupata, di Gaza e del West Bank; ma una vicenda che ho voluto raccontare per contribuire a completare quel quadro di sradicamento e di lotta per la sopravvivenza che rappresenta la quotidianità del popolo Palestinese. Dopo due mesi di mediazioni con L’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR), l’Ambasciata italiana e il Governo di Damasco, sono riuscito ad ottenere le autorizzazioni e l’appoggio logistico per raggiungere il campo, una “no man’s land” nel deserto siriano al confine con l’Iraq. E l’8 gennaio 2010, dopo anni di chiusura ai media di tutto il mondo, siamo stati la prima troupe a mettere piede in quell’area.

Com’è nata la collaborazione con l’emittente Al Jazeera? E c'è qualcosa che non hai potuto raccontare?
Emiliano Sacchetti: I contatti con l’emittente del Qatar sono iniziati a febbraio 2010, subito dopo il rientro dalla Siria, con la proposta di un promo di 4’ e di un primo trattamento. È stato solo cinque mesi dopo, però, durante la fase delle riprese in Svezia, che Al Jazeera ha formalizzato i termini della coproduzione. In questo senso il ruolo di Suttvuess, produttore del film, nel sostenere il progetto anche senza una committenza certa è stato fondamentale. Senza la lungimiranza di Federico Schiavi e l’impegno del suo team questo documentario non avrebbe mai visto la luce. Al Jazeera ha condiviso e rispettato le linee autoriali e di regia, senza pressioni, contenutistiche o politiche, di alcun tipo.

Tre cose per invogliare il pubblico a guardare il tuo doc e votarlo...
Emiliano Sacchetti: 1. È un film che affronta alcune delle conseguenze, volutamente omesse o misconosciute, di una delle tante guerre volute dagli Stati Uniti per tutelare i propri interessi. 2. È un film che racconta il viaggio di due famiglie alla ricerca di una nuova vita. Un viaggio che parte dal deserto siriano per approdare sulle coste del Mediterraneo e oltre, fino alle notti bianche del Baltico svedese. 3. È un film che rappresenta una scommessa vinta nonostante il disinteresse dei broadcaster italiani grazie al sostegno di un produttore indipendente e all’impegno di una troupe che hanno creduto in un’idea prima ancora che in un prodotto.

08/11/2011, 16:11