Marco Righi e la sua delicata sinfonia di sguardi e voci
Il passaparola prosegue, gli incassi crescono, le città che lo programmano si moltiplicano: "
I Giorni della Vendemmia", esordio del giovane (classe 1983) regista emiliano
Marco Righi è destinato a diventare un piccolo caso, alla stregua di altre opere prime come "
La Capagira" (Alessandro Piva, 2000) o "
Il Vento fa il suo Giro" (Giorgio Diritti, 2007). Ma il film della società
Ierà di
Simona Malagoli sarebbe piuttosto da accostare ai migliori esordi di questa stagione cinematografica (anche se "
I Giorni della Vendemmia" gareggerà per i
David di Donatello del 2013): "
Sette Opere di Misericordia" dei fratelli De Serio e "
Corpo Celeste" di Alice Rorhwacher, se non altro per la fosca presenza della religione che li pervade.
Il film di
Marco Righi inizia con l’inquadratura di un Cristo in croce ed è scandito da incontri di preghiera organizzati dai genitori dell’adolescente Elia, nome biblico come quello del suo fratello maggiore, Samuele, scappato di casa e da una provincia soffocante. Elia vive, quindi, da solo con i suoi e la nonna Maria in una casa contadina della campagna emiliana dove ci si appresta a raccogliere l’uva. Ma questa volta, la vendemmia si tinge di desiderio, quando una ragazza, Emilia, viene a dare una mano per mettere da parte un po’ di soldi. La solitudine di Elia si ritrova sconvolta dalla conturbante e noncurante ragazza iniziando così un suo percorso di formazione.
Ambientata nel 1984, la trama di "
I Giorni della Vendemmia" non rincorre né originalità né complessità. Riesce a sfruttare al massimo le potenzialità di un soggetto lineare ed esile ma essenziale e colpisce nel segno, nel pedinare il suo giovane eroe per il quale l’empatia è velocemente acquisita. Dopo un prologo acerbo in cui la solitudine di Elia ci viene restituita attraverso il ritratto dei suoi genitori, la madre devota e il padre comunista addolorato dalla scomparsa di Enrico Berlinguer, ma anche con alcune scene che ritrae l’adolescente nella sua intimità. Quando la bell’Emilia irrompe nel paesaggio quotidiano e nell’esistenza di Elia, siamo già al suo fianco.
Marco Righi, autore a tutto tondo del suo film (firma anche sceneggiatura e montaggio), cura con grande sapienza ogni particolare a cominciare dai dialoghi, parchi e sempre giusti nel mescolare l’aneddotico e l’universale. Ma Righi si rivela anche un grande direttore di attori. Se il personaggio di Emilia può irritare con la sua aria sicura e provocatrice,
Lavinia Longhi riesce a dargli sfaccettature che la rende nel contempo solare ed enigmatica. Gli interpreti secondari, poco noti o sconosciuti, sono tutti ben delineati: dalla complicità del padre, che parla in dialetto, alla nonna, discreta ed attenta. Ma la vera rivelazione consiste nell’esordiente
Marco D’Agostin - corpo, sguardo, voce - che investe con sottile intensità i panni di Elia.
Un grande interprete all’altezza della regia e delle collaborazioni tecnico-artistiche che rendono questo piccolo film indipendente una grande opera difficile da cancellare dalla mente.
Marco Righi ci restituisce, grazie ai suoi lievi movimenti di macchina (brevi carrellate, lente panoramiche) e ai suoi primi piani, gli impercettibili slittamenti dei sentimenti.
Alessio Valori firma una splendida fotografia sia nei paesaggi che negli interni esigui che fa dimenticare il formato digitale delle riprese mentre
Roberto Rabitti (anche aiuto regista) distilla delle note di piano che contribuiscono definitivamente a fare di I giorni della vendemmia un piccolo cult.
Righi compone così una delicata sinfonia fatta di tocchi tenui, di sguardi, gesti, musica, voci… orchestrata da un montaggio visivo/sonoro di scintillante purezza cinematografica.
20/03/2012, 15:52
Alain Bichon