GIANNI AMELIO - "Camus ed io ne Il Primo Uomo"
Una folla delle "grandi occasioni" ha riempito in ogni modo ieri sera la sala de Il Piccolo Cinema di Torino. Ospite attesissimo Gianni Amelio, che accompagnava la proiezione in pellicola (e in versione originale sottotitolata) del suo ultimo film, "Il Primo Uomo".
A invitarlo
Gianluca e Massimiliano De Serio, registi e "gestori" - insieme agli altri membri dell'
Associazione Antiloco - di uno spazio nuovo, situato nella periferia cittadina, che pone il cinema al centro della sua attività ma vuole essere un luogo d’incontro che usa la "settima arte" per capire il mondo, per aprirsi ad esso.
"Da quando ho visto il loro film ho cambiato giudizio sulle persone, è diventato per me
una cartina di tornasole per individuare chi di cinema ne capisce e chi non ne capisce una mazza", ha esordito Amelio omaggiando il film d'esordio dei De Serio, "Sette opere di misericordia". "Il loro film divide molto, e ho perso degli amici che forse non erano amici perché non lo hanno apprezzato abbastanza".
"Quando abbiamo fondato Il Piccolo Cinema avevamo un sogno, che era di riempirlo così tanto e con un personaggio del tuo calibro: ora grazie a te lo abbiamo realizzato", ha detto a inizio serata un commosso Gianluca De Serio.
"Il film nasce diversamente da tutti gli altri miei, e cioè da un produttore che mi diede il libro "Il primo uomo" di Camus e mi chiese se volevo farci un film. E' stato l'inizio di una lunga lavorazione, se pensate che
quel giorno era nel 1995 e ho poi effettivamente girato solo nel 2010. L'ho fatto lo stesso però, perché a un certo punto il tuo mestiere diventa più importante delle tue scelte: può essere un cattivo segno ma a volte può essere anche buono, sentirsi in dovere di continuare a fare quello che devi fare. Le vicissitudini furono tante, economiche e produttive (è costato 3 milioni di euro, tra Italia, Francia e Algeria, con francesi e algerini che presto si sfideranno in tribunale...), ma
l'unica cosa su cui mi sono realmente imposto è stata quella di girarlo in Algeria, sapevo che avrebbe dato al film l'aria giusta, anche se oggi è profondamente diversa da quella di Camus".
"Il film è tratto da un libro che non è un romanzo ma un'autobiografia, che Camus scrisse per dare un risposta politica a chi lo accusava di essere reticente sui bisogni di libertà dell'Algeria.
Fece una prima stesura scritta a mano, e morì in un incidente di macchina: trovarono il manoscritto, quasi indecifrabile, e la figlia con grande dedizione cercò di renderlo leggibile. Alla fine lo pubblicò com'era, con i suoi sbagli e le sue imprecisioni: proprio per la sua provvisorietà, però, il libro è forse più sincero, magari nella seconda o terza stesura avrebbe addolcito o cambiato delle cose".
"La frammentarietà del libro mi ha permesso di inserire molto di me nel film, della mia vita. Immodestamente penso che ci sia di me un 80%, a un certo punto l'ho lasciato da parte e ho cercato la verità di Camus dentro di me, "Il Primo Uomo" è diventato patrimonio comune.
Io ho vissuto l'esperienza di superare l'età dei miei genitori, quando sono diventato più "adulto" di loro ho capito molto, cose che non avevo capito prima. Sono stato cresciuto da due donne, da mia madre e da mia nonna - i miei fratelli si arrabbiano quando dico che è autobiografico perché mi dicono che nostra nonna non era così, e che nostra madre era molto più energica... Molti mariti in quel periodo erano emigrati in America senza più tornare, il mio tornò solo 17 anni dopo perché mia madre lo denunciò: ma io ormai ero grande, la mia infanzia era finita".
"I legami di sangue vanno interpretati nel giusto modo:
è un legame forte anche quello che non passa attraverso le vene e le arterie. E' un falso concetto, molto italiano e molto meridionale, che a volte fa anche male perché porta al familismo, che è un errore: porta a pensare che il vicino non ci interessi. Il senso del mio film sta in una battuta che è mia, non di Camus:
il bambino chiede alla mamma chi sono i poveri, e lei risponde "Siamo noi". "Allora va tutto bene", chiosa il bambino: io mi compiaccio con me per questa battuta, la trovo moralmente alta, sana. Quando noi abbiamo il coraggio di condividere la povertà avremo il coraggio di condividere la ricchezza, quando arriverà".
Come hai fatto a trovare un bambino così bravo, gli chiede Gianluca De Serio. "Il problema è che solo in Italia capiamo come si deve lavorare coi bambini, io ne ho fatti tanti film con loro e non ho mai avuto difficoltà.
Non bisogna cercarli mettendo annunci sui giornali, se no invece dei bambini arrivano i genitori dei bambini! Vanno cercati dove pensi che viva il personaggio, e quindi per lungo tempo ho convinto le mie assistenti - meglio che siano donne per non destare sospetti terribili... - ad andare negli oratori, nelle piscine e dove i bambini stanno per guardarli, e individuare i più adatti. Io non credo ai provini, lo avvicino e gli parlo alla presenza dei genitori: se non mi dà retta, andrà bene!
Non puoi caricarli di troppe responsabilità, specie a inizio lavori, bisogna lasciargli libertà e farlo giocare: fondamentale poi che non diventi il "cocco" della troupe, perché a fine lavori poi se lo dimenticano e si rischia seriamente di rovinarli, non tanto come attori ma soprattutto come persone.
Il dramma di un bambino attore è quasi sempre quello del dopo".
"Lavorare in Algeria per questo film è stato semplice, le persone erano molto disponibili: per ben tre volte, nelle strette vie della casbah,
abbiamo dovuto chiedere di poter arretrare col carrello fino ad entrare nelle case, altrimenti il protagonista sarebbe andato fuori fuoco. Uno di loro doveva andare a fare la spesa, e ci ha lasciato la casa! E questa sarebbe l'Algeria pericolosa di cui parlano...
E' stata un'esperienza umana straordinaria".
"La rozzezza delle produzioni cinematografiche non ha nazionalità, e
abbiamo dovuto faticare molto perché non solo noi europei venissimo pagati, ma anche gli algerini: abbiamo anche fatto una giornata di sciopero, promosso da mio figlio che lavorava alla seconda camera, perché non venivano pagati tutti".
"
Il Primo Uomo uscirà in Francia nel 2013, il centenario della nascita di Camus, e il distributore vuole sfruttare questa pubblicità gratuita. In Algeria non credo uscirà mai, anche perché là non ci sono dei veri cinema...".
"Qualche volta si corre il rischio di essere troppo rigidi, troppo rigorosi: mai confondere il rigore con l'autogol! Non volevo esagerare,
cerco il pubblico più ampio possibile: stasera il film sembra più bello perché la sala è piena, se no non è lo stesso film. C'è un mio film, televisivo, che era uscito in Francia e inspiegabilmente reggeva tanto in sala:
una volta curioso sono andato a vedere il pubblico, e la sala era vuota! Il cinema va fatto per il pubblico, conta di più secondo me di una bella recensione: con Il Ladro di Bambini per fortuna succedeva il contrario, sale pienissime non solo in Italia, una volta non sono riuscito ad entrare neanche a Sydney al primo spettacolo pomeridiano!".
Come si è avvicinato al cinema, chiedono dal pubblico a fine serata. "Sono nato in un paese di 400 abitanti, con la sala più vicina a 50 km. Erano gli anni '50, non si aveva la macchina e quindi niente cinema: però arrivavano i cineromanzi, dei fascicoli dove si raccontano i film con le fotografie e i dialoghi sono riportati nei fumetti. Credevo che fosse tutto fatto da un'unica persona, l'attore, il "registra" (non sapevo si dicesse regista!), quello che scriveva...
Una volta ho chiesto a mia nonna perché parlassero tutti in italiano. Era un film western, e lei mi rispose: in America parlano tutto!".
21/11/2012, 09:39
Carlo Griseri