MARCANTONIO LUNARDI - Il mio cinema tra arte e reale
Il tuo cinema è una contaminazioni di arti e tecniche visuali. Ci parli del tuo modo di essere "videomaker"?
Marcantonio Lunardi: L'ambiente in cui sono cresciuto professionalmente è sempre stato contaminato dalle arti visive. La scuola di regia è venuta dopo le esperienze dei videofondali in teatro, del VJing in concerti di musica contemporanea e di generativo architetturale. Di conseguenza, per me, è normale pensare il racconto filmico in termini di contaminazione dei linguaggi e delle tecniche. Coltivo i miei fantasmi visivi lavorando sulle sintesi e sui significati dei gesti. È come se dovessi dipingere un quadro ed intervenissi sulla tela con elementi minimali di movimento, costruendo la scena complessiva con dettagli iconografici legati al tema che voglio trattare. Lascio poi agli attori, rigorosamente non professionisti, l’interpretazione dello stato emotivo che voglio rappresentare.
Le tue opere sono state selezionate in svariati festival di tutta Europa e del mondo, come mai in Italia sono poco conosciute?
Marcantonio Lunardi: Quando ho deciso di occuparmi di cinema sperimentale, mescolando alle mie opere frammenti di documentazione del reale, ho inviato i miei lavori a circa una decina di festival italiani tra i più importanti non ricevendo alcuna risposta, nemmeno di rifiuto. Se mi avessero detto di no o, ad essere generosi, il motivo dell’inadeguatezza delle mie opere avrei avuto modo di riflettere sul mio lavoro. Non tutte selezioni internazionali a cui ho partecipato sono andate a buon fine ma in tutti i casi ho ricevuta una risposta, positiva o negativa che fosse, e mi è stata spiegata la ragione della mia esclusione.
In Italia, finora, mi sono trovato male e ho anche pensato di aver sbagliato scrittura, racconto e addirittura mestiere, tanto mi aveva fatto male quel silenzio.
Dopo qualche mese di tentativi è arrivata un’email da parte della Dott.ssa Irene Panzani, una curatrice italiana trasferita a Parigi, che mi invitava a fornirgli il mio primo lavoro sperimentale per una mostra di videoarte che stava organizzando all’università di Paris 8. Da allora non ho avuto più problemi ad esporre in gallerie e festival internazionali. I primi ricercatori italiani hanno cominciato a studiare la poetica delle mie opere e con loro mi confronto sempre molto volentieri ma per gli incontri festivalieri l'Italia, per me, è ancora un territorio inesplorato.
Ci parli della "trilogia delle decadenza", composta dai film "Laboratoire Italie", "Suspension" e "Last 21 Days"?
Marcantonio Lunardi: La trilogia è nata dalla voglia di raccontare il mio paese attraverso un medium che non fosse prettamente documentario. Volevo cercare di tradurre le mie emozioni in immagini in movimento, senza l'ausilio degli strumenti classici del documentario, ma senza rinunciare alla presenza della realtà. Ispirandomi all'esperienza dei videoartisti degli anni ’70 e alla loro reinterpretazione degli eventi storici, ho iniziato ad affrontare la scrittura e poi la produzione di quelle che sarebbero diventate le mie opere più conosciute in Europa, in Asia e in America. Ho sintetizzato in brevi racconti le grandi fasi storiche italiane degli ultimi vent’anni. Nella loro realizzazione ho tenuto conto dei cambiamenti di linguaggio che il potere ha adottato nella sua evoluzione. Dalla presenza ubiqua del leader siamo passai alla sua totale assenza negli ultimi 21 giorni di governo prima della caduta, quando sentivamo le affermazioni dei rappresentati politici solo in audio senza la loro immagine in video. Ed è questo il motivo per cui l’ultimo film del ciclo della decadenza è dominato dai grafici di borsa e dalle forme d’onda delle tracce vocali.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Marcantonio Lunardi: Sto scrivendo un documentario che racconterà la storia di tre artiste internazionali che hanno deciso di vivere lontane dai grandi centri urbani, continuando però la loro attività espositiva con le gallerie di tutto il mondo. Questo è un aspetto del vivere che mi ha sempre incuriosito perché in parte mi riguarda. La scelta di abitare in luoghi decentrati e in contesti apparentemente privi di valenza culturale impedisce veramente di mantenere il contatto con il resto del mondo attraverso le proprie opere? Indagherò la questione declinandola come indagine di genere, perché la dimensione femminile mi sembra più legata alla propria ricerca interiore, e cercherò di capire i meccanismi di tali scelte. Con questo lungometraggio propriamente documentaristico ritornerò alle origini della mia formazione cinematografica. Ma oltre a questo lavoro ho in cantiere una trilogia videoartistica sulla distruzione della cultura in Italia e un’opera singola sulla morte del lavoro. Quest'ultima sarà per me particolarmente importante perché si baserà su un recupero shakespeariano in chiave post industriale della figura di Ofelia e dell'iconografia preraffaellita.
06/02/2013, 15:45
Simone Pinchiorri