Note di regia del documentario "Vita da Non Morire Mai"
Da alcuni anni ho avuto la possibilità di conoscere e incontrare persone colpite dal cancro.
Negli anni Novanta, quando ad ammalarsi è stata mia madre, la notizia è stata sconvolgente.
Nell’insorgere della malattia di mia madre vedevo una ragione meccanicistica di una semplicità e di una crudeltà estreme. E mi dicevo: perché i ricercatori non se ne accorgono?
L’ultimo dei 5 figli di mia madre era andato via di casa qualche mese prima e mia madre si era intristita gravemente: aveva perso la sua funzione di donna che nutre. Così il tumore l’ha colpita nel luogo del nutrimento. Ho pensato: mia madre ha creato il suo cancro. Per fortuna si trattava di un carcinoma piccolo e superficiale. Ma molto simbolico.
Dopo che mia madre si è ripresa sono stata interessata a indagare e a chiedere alle persone colpite dalle malattie oncologiche se ci fosse stato per loro un grande dolore a cui ricondurre il motivo profondo dell’insorgere della malattia.
Ma l’argomento è molto delicato e non sempre se ne può parlare.
La svolta è avvenuta quando l’amica Francesca, ammalata di linfoma a 36 anni, mi ha chiesto di incontrarci per fare delle riprese, durante una ulteriore recidiva. Da aprile a giugno del 2009 sono stata per due volte alla settimana a casa sua e, nonostante la mia indagine non seguisse un piano lineare, ogni volta il “racconto” si infittiva e io ero più motivata. Eppure sapevo che Francesca stava morendo.
Dopo Francesca si è ammalata Silvana, una donna tenace che sembrava inarrestabile nella sua volontà di vivere. Colta, simpatica, generosa, Silvana era stata anche produttrice per il mio film Ossidiana. Con lei ho trascorso mesi indimenticabili, di tensione, sì, ma anche di grande divertimento e sorellanza.
La notizia della diagnosi mi raggiunse al telefono. Un colpo terribile: e chi se l’aspettava! Per alcuni mesi non l’ho vista. Poi ho trovato il coraggio grazie alla telecamera, strumento che aiuta a creare distacco. Silvana aveva la testa completamente pelata e così la si vedrà nelle prime immagini del documentario.
La terza notizia mi è arrivata ancora al telefono, era il 2010. Ero in Sicilia e mia sorella Miriana mi ha detto che nostra sorella Carla aveva un carcinoma alla mammella sinistra, come mia madre. Ma, a differenza di mia madre, il suo cancro non era superficiale.
A quel punto, insieme all’immenso dolore che mi faceva ritornare a galla anche il dolore provato per mia madre, ho sentito una sorta di desiderio di accanimento video-narrativo. Perché tutte e tutti sapessero cosa stavano soffrendo queste persone.
Che guarissero oppure no, mi sembrava importante non solo cercare il percorso psicologico e di vita che ciascuna donna aveva fatto prima della malattia ma quello che stava affrontando durante le cure.
Mi interessava parlare della paura, dell’aspetto perturbante e di ciò che questi sentimenti scatenano nella mente delle donne ammalate creando alcune volte degli inneschi salvifici, di grande trasformazione.
Ho sentito che questa parte di dolore poteva servire a noi che raccontiamo, a chi si ammala per cercare la ragione profonda del male, allo spettatore per domandarsi il senso e il perché.
Le riprese sono state realizzate tra il 2007 e il 2012 con una telecamera palmare Panasonic minidv e una Gopro per le immagini in acqua.
Silvana Maja