ALAIN BICHON - Benvenuta Italia!
Mentre la politica tiene col fiato sospeso una popolazione allo stremo, in balia di una crisi economica ma anche ideologica ed esistenziale, i registi italiani cercano di esorcizzare o di placare il male con i propri racconti. Ci sarebbe poco da ridere, eppure la risata non è l’ultimo strumento scelto per allevare il dolore. Il grottesco della realtà viene appena enfatizzato per smascherarne la crudele, estrema violenza. Ma i toni possono essere anche drammatici, più consoni ai fatti vissuti.
Artefici di questa lodevole ondata di opere la Bibi film di Barbagallo e la Fandango di Procacci, ma anche Lumière e Indigo e, più a sorpresa, la IIF di Fulvio Lucisano. Dopo i film di Bellocchio, Giordana, Vicari…
il cinema italiano porta avanti il suo impegno nel denunciare i meccanismi del potere, la corruzione imperante e i danni collaterali su una popolazione abbandonata a se stessa. Ma la
Reality è così difficile da afferrare che gli sceneggiatori ricorrono alla figura del doppio. Doppio come il doppio linguaggio della politica che reinventa la realtà per torcerla a suo piacere; doppio come l’anima del paese, diviso com’è fra Nord e Sud. Un tema che Antonio Albanese, prima dei film clonati da quello di Dany Boon, Giù al nord, aveva trattato in uno spettacolo omonimo e nella commedia La fame e la sete (1999). In
Tutto tutto niente niente (Giulio Manfredonia alla regia), Albanese si fa addirittura in tre per incarnare il peggio della società italiana, tre personaggi fatti uscire dal carcere per sostituire onorevoli nel circo del parlamento e dare i loro voti alla “causa”. Ma le mostruose maschere del comico, troppo (sur)reali, graffiano poco.
Nella commedia brillante di Riccardo Milani,
Benvenuto Presidente!, scritta da Fabio Bonifacci, è invece un mite bibliotecario appena “ringraziato” a causa dei tagli alla cultura che viene eletto Presidente della Repubblica per via di una gaffe dei politici che, beffardi e/o disperati, hanno votato per Giuseppe Garibaldi. L’omonimo personaggio interpretato da Bisio non è però il solito ingenuo. Si rifiuta di dimettersi e decide di dare un volto umano, un’etica alla sua azione prima di denunciare il degrado morale, i furbi di ogni tipo... Nel film di Roberto Andò,
Viva la libertà!, Servillo è un segretario di partito, identificabile nell’attuale PD. Prossimo all’ennesima sconfitta, molla tutto e tutti e scappa in Francia. Suo fratello gemello, filosofo appena uscito da una depressione, accetta di prendere il suo posto: ha l’estro, la follia, la passione che manca ai politici di mestiere. “Il paese è stanco e marcio, dice: bisogna liberare gli italiani dalla paura”.
Simbolo della sete di cambiamento del paese, i due film, con le debite sfumature - film popolare (ma non populista) per Milani, cinema d’Autore per Andò - formano un dittico in cui gli usurpatori riescono dove puntualmente la politica fallisce mentre finiscono per conquistarsi stima e consensi. I nostri due politici improvvisati vengono al capezzale dell’Italia malata e mettono la loro lucida fantasia al suo servizio. Ma puntano anche il dito per coinvolgere il singolo cittadino all’ascolto: Servillo in un comizio, Bisio con uno sguardo nella telecamera.
In un’altra commedia, più grossolana, di Massimiliano Bruno,
Viva l’Italia!, Michele Placido, politico corrotto (di destra) colpito da un malore, cade in una demenza che gli fa dire tutto quello che pensa rivelando la sua vera natura inconfessabile. Un altro “pazzo” che metterà in grande difficoltà il proprio partito. Nell’incipit, un cronista radiofonico (lo stesso regista) racconta di avere ripescato un vecchio libro, “un capolavoro di fantasia e umorismo”: la Costituzione Italiana…
Silvio Soldini scomoda anche lui Giuseppe Garibaldi che constata, osservando il proprio paese dall’alto della sua statua, quanto il suo popolo abbia “perduto memoria di ogni ideale” e non sia “atto a governarsi da sé”. Come spesso nei suoi film, i personaggi de
Il comandante e la cicogna si dibattono in mezzo a problemi di soldi ma anche ai propri sogni. Il film forse più politico di Soldini è una fiaba in cui il realismo poetico traduce la sua fede nell’uomo.
Di tutt’altra fattura ma pervaso dalla stessa utopia, l’esordio dell’attore Luigi Lo Cascio,
La città ideale. Lo Cascio è un architetto convinto - ed estremo - ecologista che viene tuffato in una kafkiana disavventura. Il ritrovamento per strada di un uomo - politico di punta della città - in fin di vita ridimensionerà i suoi ideali fino all’inquietante epilogo siciliano.
Altro attore dietro la cinepresa e altra odissea rocambolesca per Rolando Ravello, uomo bonario e semplice della porta accanto che, un bel giorno, si ritrova con tutta la famiglia cacciato fuori casa. Lotta per un diritto elementare, l’emergenza abitativa in Italia dà luogo ad un’amara commedia sociale:
Tutti contro tutti, nel nostro paese sempre più popolato da "
Equilibristi" senza paracadute.
23/04/2013, 09:30
Alain Bichon