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Note di regia de "La Confessione"


Note di regia de
“La Confessione” film tratto dall'omonimo racconto dello scrittore Carmelo Zaffora (contenuto nella raccolta “L'Alibi”), per quanto difficile da collocare in un genere ben definito, lo reputo un noir, in quanto lo spettatore accompagna costantemente il protagonista nel suo percorso che lo renderà un criminale e che poi lo porterà a pentirsi. Sarà pure che Antonio Bottino (nome del protagonista) sia stato spinto dalla voglia di uscire da una vita di stenti e povertà, sarà vero che non avrebbe voluto far del male a nessuno, ma un rapimento resta pur sempre un atto criminale. Volendo al contempo raccontare, seppur in minima parte, la tradizione di un paese che mi ha personalmente affascinato sin dai primi giorni di sopralluogo, e che mi ha condotto ad una rivisitazione della sceneggiatura dovuta alle innumerevoli sfumature che caratterizzano e diversificano la piccola società gangitana rispetto alle grandi città, ho introdotto una trama parallela, una storia d'amore fatta di tanti sguardi rubati e poche parole (perché al tempo non era consentito nemmeno parlarsi, se non dopo l'espletamento di una serie di formalità), pretesto per far rivivere allo spettatore spaccati di vita quotidiana del tempo. Il film inoltre è un continuo gioco di contrasti: povertà/ricchezza, amore/interessi, tranquilità/azione, fede/denaro. Si perché si parla anche di fede, fede vacillante di una donna verso il suo uomo, e fede di un uomo di Chiesa verso la sua istituzione, maschera usata per riempirsi le tasche di beni materiali. Come si può intuire, tutta questa varietà di informazioni trattate in un'unica opera, potrebbe creare confusione se non supportate da una buona sceneggiatura e ancor prima da un metodo di narrazione adatto. Come ho detto il film è tratto da un libro, che di per se funziona, quindi non mi restava altro che sperimentare: nella stesura della sceneggiatura ho deciso di mantenere lo stile del romanzo, ecco che il protagonista diventa muto, e una voce narrante aiuta ad avvicinare lo spettatore al suo profondo dolore.
Fondamentale invece è stato l'incontro con il maestro Ruggiero Mascellino, che ha saputo dare forza e carattere alle scene, ma al contempo è riuscito a trasportare i personaggi in un tempo che non esiste più. Adesso non saprei nemmeno immaginare questo progetto con musiche diverse dalle sue.

Per quanto riguarda la produzione di questo film, ci tengo a sottolineare alcuni punti. Ci troviamo di fronte ad un caso di “Cinema indipendente” che, nel nostro paese, coincide quasi sempre col termine no-budget o budget ridotto all'osso. Nel nostro caso abbiamo avuto il massimo appoggio da parte dell'amministrazione comunale di Gangi che ha patrocinato il progetto, e la BCC mutuo soccorso Gangi che ha erogato la cifra che ci ha permesso di alloggiare in paese. Il materiale per le riprese l'ho messo a disposizione io in quanto lavoro nel mondo dell'audiovisivo, e la piccola troupe è stata offerta dall'associazione culturale Etnawood di cui faccio parte. Per lavorare in queste condizioni, si deve avere oltre ad una buona dose di passione, anche una mentalità da imprenditore doc: oggi investi tempo e fatica e domani potresti non avere niente oppure provare grandi soddisfazioni. Gli attori, salvo pochi nomi, sono non professionisti che hanno deciso di lasciarsi guidare da me vincendo timori e dubbi. Lavorare con persone che non hanno studiato recitazione e che non hanno tecnica richiede un approccio diverso e addirittura si deve rivedere il tipo di regia che si aveva in mente per quel progetto. Chi non ha studiato recitazione (e non ha esperienza con le videocamere) non ha idea degli spazi da rispettare, dell'importanza del controllo dei muscoli del viso, o semplicemente di quanto sia difficile organizzare un giorno di riprese. Personalmente in queste occasioni applico un metodo che tempo fa mi fu insegnato ad un corso di recitazione psicodrammatica, incentrare il 70% del lavoro con l'attore sulla ricerca delle emozioni del suo personaggio, il 20% è il copione, il 10% indicazioni di scena. Risultato? Attori molto naturali nel recitare, liberi dagli schemi, abili nell'improvvisazione.
Abbiamo accennato la parola regia, parliamone velocemente. Dovevo raccontare la tranquillità di un paese dove il sole e l'aria calda di agosto rallentano i gesti della gente che lavora in campagna e che oltretutto, a quei tempi, non doveva lottare con lo stress dovuto a telefonini, internet e code nel traffico. Per far ciò mi sono servito di inquadrature ampie, movimenti di camera composti e tempi di montaggio più lenti. Descrivere invece le scene del rapimento e del malessere interiore del protagonista ha richiesto una regia più attuale, “sporca”, uso della camera a mano ed un montaggio serrato. Finisco dicendo che la voce narrante di Maurizio Gazziero, ha dato quel tocco “letterario” che stavo cercando, fungendo oltretutto da legame intenso tra protagonista e pubblico.

Angelo Augusto Villari