UN CASTELLO IN ITALIA - La normalità della nobiltà
In Italia ci vuol poco a diventare nobili, basta avere due cognomi ed essere antipatici.
Valeria Bruni Tedeschi firma la sua terza regia raccontando quello che in fondo è il suo mondo e nel film, malgrado si sforzi ad apparire normale, riesce a dimostrare quella presunta superiorità che contraddistingue la nobiltà.
Ce la mette tutta per farci credere che le vicende di una famiglia nobile siano più interessanti delle nostre, e i personaggi abbiano più fascino grazie al rotacismo o vivano in un antico palazzo che chiamano castello.
Il dubbio che viene guardando "
Un castello in Italia" è che non ci sia critica nel raccontare questo mondo e che la poca ironia sia solo un modo per mostrarsi modesti e capaci di ridere di se stessi. Un po' come quando Louise, il personaggio interpretato dalla stessa regista, maltratta il suo domestico e poi va a fare la volontaria servendo i pasti ai barboni del parco; in privato falsi, cinici e indifferenti, in pubblico altruisti e magnanimi. In una parola, nobili.
Per il resto vita e accadimenti normali con in più la sicurezza di un Bruegel da 3 milioni di euro attaccato alla parete...
Malgrado un fastidio costante nel seguire queste vicende mostrate come eccezionali, il film suscita in alcuni un certo interesse per la qualità della scrittura (che ricorda per struttura Il Giardino dei Ciliegi di Checov) e per uno stile che evita sottolineature e didascalie, più vicino al cinema francese che a quello italiano contemporaneo.
Nel cast, oltre alla stessa
Bruni Tedeschi, Filippo Timi nei facili abiti del nobile decaduto, scellerato e malato terminale,
Luois Garrel giovane e scapigliato attore che avrebbe bisogno di uno shampoo, e poi
Marisa Borini, madre della regista nel film e nella vita, e le apparizioni di
Silvio Orlando, sindaco "Lopachin" trattato con fastidio, e
Pippo Delbono prete ritardatario degno di contestazione.
22/10/2013, 15:51
Stefano Amadio