Note di regia del documentario "Sacrificio"
“Nonostante le luci di questo paese si siano già spente non voglio dormire.
Voglio rimanere sveglio a fantasticare su un paese diverso, su un paese migliore,
tanto il mondo là fuori è infinito ed io non lo posso di certo cambiare.”
Congegno, Porte Blindate
Da tempo volevo raccontare l’altra faccia della medaglia di vivere in una piccola valle periferica, un Trentino diverso dalle immagini da cartolina che siamo abituati a vedere, un Trentino chiuso ed oscuro, dove i giorni piovosi si rincorrono tutti uguali.
Come i protagonisti di Sacrificio, anche io sono cresciuto in un paesino di quattrocento anime prima di trasferirmi a Roma ed ho avuto modo di vedere con i miei occhi situazioni che si avvicinano a quelle raccontate nel romanzo di Giacomo Sartori e nel successivo adattamento teatrale: il bar come unico punto di ritrovo, le compagnie di amici che non si sono scelti in base agli interessi, ma solo perché sono cresciuti insieme, l’abuso di alcool, gli incidenti in macchina e le violenze.
Sacrificio catapulta immediatamente lo spettatore nella vicenda raccontata dallo spettacolo, presentando i personaggi intorno a cui ruota tutta la storia: la remissiva Marta, innamorata del cugino/fratello; Diego, il “bravo ragazzo” tormentato dai sensi di colpa e Katia, la sua capricciosa e pericolosa fidanzata.
Li vediamo sul palco, ma anche negli ambienti reali descritti nel copione, come la troticoltura di Marta o il pub dove i ragazzi si incontrano per giocare a freccette.
L’utilizzo di un linguaggio ibrido, che mescola documentario, teatro e fiction, è frutto di una scelta estetica ben precisa, tesa a rafforzare i temi presenti nel testo portandoli fuori dallo spazio scenico, pur conservandone la patina teatrale.
Lentamente ci si apre verso le vite dei ragazzi e si approfondiscono le tematiche contenute nel testo, conoscendo nuovi personaggi, come il tenebroso Frank e la pettegola Anna, fino a giungere, quasi a sorpresa, alla parte più prettamente di reportage.
Quando i registi teatrali Jacopo Laurino ed Elena Galvani mi hanno illustrato il loro progetto, che prevedeva un lungo percorso formativo per un gruppo di ragazzi trentini non professionisti, mi sono da subito appassionato al loro approccio ed ho deciso di seguirli per oltre un anno, riprendendo l’evolversi dello spettacolo.
Sacrificio, infatti, ha comportato la selezione di sette attori dopo una lunghissima serie di casting, provini e dopo un seminario di sei mesi con incursioni di personalità del calibro di Giulia Lazzarini.
Questo metodo di lavoro, definito con il nome di slow theatre, ha infatti l’intento di portare avanti un’idea di teatro civile profondamente legato al territorio, capace di coinvolgere una rete di soggetti, comuni ed aziende normalmente estranei all’ambiente teatrale, seguendo ritmi più dilatati rispetto ai tempi di allestimento di uno spettacolo normale.
Durante tutto questo tempo ho avuto quindi la possibilità ed il privilegio di conoscere da vicino i ragazzi protagonisti, molti di loro miei coetanei, e di seguirli un po’ nelle loro vite quotidiane.
Il documentario prosegue quindi ritornando lentamente alle vicende raccontate dallo spettacolo, giustapponendo le parti di finzione con la vita reale degli attori.
La scelta di creare questo genere di parallelismi vuole sottolineare, con un pizzico di provocazione, quante cose hanno in comune i personaggi con i ragazzi che li interpretano.
Per lo stesso motivo, tutte le interviste sono effettuate all’interno del teatro, amplificando la sensazione che realtà e finzione si mescolino continuamente.
Le atmosfere cupe e malinconiche sono sostenute dalla quasi assenza di riprese in esterni e dalla colonna sonora che unisce musica ambient, elettronica ed i pezzi dei Congegno, gruppo hardcore locale capitanato da uno dei protagonisti.
Sacrificio si apre e si chiude restando fedele alle scene iniziali e finali dello spettacolo, come se tutto il documentario fosse racchiuso in un guscio oscuro da cui i personaggi non hanno via di scampo, come in ogni tragedia che si rispetti.
I ragazzi protagonisti, invece, sono la testimonianza vivente di come iniziative culturali mirate ai giovani possano essere una valida alternativa alle serate autodistruttive a cui vanno spesso incontro il sabato sera, di come sia importante imparare a parlare anche dei lati meno positivi e problematici del territorio, per poter affrontarli a viso aperto.
Riccardo Tamburini