Note di regia de "La Malattia del Desiderio"
La prima volta che sono entrata al ser.t (servizio per le tossicodipendenze) di Fuorigrotta ho avuto paura. Questa sensazione mi ha accompagnato fino a quando non ho deciso che, a tutte quelle storie e alle persone incontrate, bisognava dare voce e dignità. Il mio ultimo anno di università (circa 4 anni fa) mi era stato chiesto, per sostenere un esame, di girare un video che trattasse il tema della “dipendenza”: un servizio che sarebbe stato pubblicato sul sito della trasmissione “ La storia siamo noi”. Ma, l’incontro con il Dottor Francesco Auriemma, responsabile del servizio per le tossicodipendenze di Fuorigrotta, e con alcuni dei ragazzi, utenti del ser.t, mi ha fatto capire che avrei dovuto cominciare un lavoro più ampio . Ho deciso così di non dare nessun materiale all’università e di frequentare il centro più assiduamente, per comprendere dinamiche e relazioni che fino a quel momento erano, per me, totalmente sconosciute. La mia intenzione, prima di cominciare a girare, era quella di provare a raccontare il mondo della dipendenza dal punto di vista della cura. Non mi interessava andare a Scampia, o nelle piazze di spaccio o ancora nella cosiddetta “casa abbandonata” dove i ragazzi si “fanno”. Ho scelto quel luogo perché il desiderio, da eroina, cocaina, alcool ed anche per il gioco d’azzardo, veniva considerato una vera e propria malattia, non un vizio, ma un bisogno così intenso da non poter essere controllato dalla mente dell’uomo. Non ho frequentato altri servizi per le tossicodipendenze, anche perché il luogo in cui si trova il ser.t di Fuorigrotta, mi sembrava emblematico. Esattamente sotto la curva A, in un ex sala stampa, fatta costruire nel 90’ per i mondiali, oggi c’è il ser.t. Per le partite di calcio infatti, quello spazio si tinge di azzurro, si riempie di tifosi e cori, eppure tutti i giorni, anche se quasi nessuno ne è a conoscenza, più di 300 utenti frequentano il ser.t. Il film è un racconto corale, in cui il centro stesso, diventa contenitore di storie e di vite. Inizialmente volevo provare a comprendere il meccanismo che scatta nella mente dei tossicodipendenti perché non riuscivo a immedesimarmi nella loro situazione, poi grazie all’incontro con Gaetano, paziente storico del ser.t e poi con Felice, conosciuto alla stazione di piazza Garibaldi, una serie di barriere sono cominciate a crollare. Durante le nostre lunghe chiacchierate si è creata una relazione per cui, anch’io, ho cominciato a vedere i ragazzi e le ragazze del servizio non più come semplici utenti ma come persone, amici. Ho sentito che loro non guardavano più me e la mia telecamera come degli estranei. Questo passaggio è avvenuto in maniera graduale anche con i medici, inizialmente schivi o disposti a mostrare soltanto la loro parte migliore. E’ stato un processo lento, di conoscenza e di avvicinamento, sempre in ascolto, senza mai invadere. Ciò mi ha permesso di riprendere situazioni molto intime, come i colloqui tra i medici e i pazienti. Non sapevo quando sarebbe arrivato il momento di smettere di filmare, ma ne ho preso coscienza al momento in cui Giuseppe, uno dei protagonisti, a causa di una ricaduta nella droga, è venuto a mancare. Con la sua morte ho sentito di dovere mettere un punto alle riprese. “La malattia del desiderio” è la mia prima opera.
Claudia Brignone