LUCA BIGAZZI - Incontro con il direttore della fotografia
Il noto direttore della fotografia
Luca Bigazzi ha trascorso due giorni a Lugano per un workshop allo Spazio 1929 e ha incontrato il pubblico al Cinestar alla proiezione speciale de "L'Intervallo" di Leonardo di Costanzo. Ci ha parlato del suo lavoro e della collaborazione con alcuni dei più prestigiosi registi italiani.
Che importanza ha il direttore della fotografia in un film?
È uno dei tanti collaboratori tecnici del regista, come scenografo, costumista, fonico. Sicuramente ha meno importanza della recitazione.
È il direttore della fotografia che propone come inquadrare o è il regista che lo decide?
I rapporti tra registi e operatori sono estremamente variabili, alcuni si affidano di più di altri. Non ci sono parametri fissi, i rapporti sono abbastanza proficui sia con chi si affida sia con chi è molto attento alla fotografia in prima persona. Per me è uguale, mi interessa solo fare bei film che abbiano un senso e una ragione di essere. Non mi interessa la fotografia in sé, preferisco lavorare nel mio Paese perché penso che sia necessario conoscere la realtà delle cose di cui si parla, cosa si illumina e cosa si inquadra.
Per la fotografia, vengono fatti sopralluoghi e prove prima o ci si basa sulle condizioni del momento in cui di gira?
È un mix tra sopralluoghi e improvvisazione.
La luce può influenzare il taglio del film?
Si, e ha il dovere di essere adeguata a ciò che si racconta. Non deve necessariamente abbellire, deve aiutare il racconto. A volte si fanno luci non esteticamente attraenti ma che siano adatte, la luce non è la ricerca della bellezza.
In Belluscone, quanto è importante la fotografia ?
La fotografia non è esattamente il motivo per cui la gente va a vedere questo film che ha la potenza della testimonianza sull'orrore che sono stati i vent'anni berlusconiani nel nostro Paese. Orrore da ogni punto di vista, morale, politico e culturale. Il film ne parla in maniera piuttosto esaustiva ed è anche il racconto di una difficoltà e di un malessere di Franco Maresco che ha dovuto penare cinque anni per realizzare questo film, per motivi personali e anche oggettivi. Io ne ho fatto solo una parte, quella con Tatti Sanguineti, in autobus, in taxi e all'albergo. Ho seguito la stampa del film, controllando i contrasti, i colori e la posa finale delle luci. Nelle altre parti hanno lavorato Tommaso Lusena de Sarmiento e Irma Vecchio.
Cosa occorre perché un film, come La Grande Bellezza di cui ha curato la fotografia, vinca l'Oscar?
Una grande fortuna. È un film molto potente e significativo che ha dato un certo fastidio perché parla dell'oggi in maniera critica e qualcuno si è sentito punto nel vivo. Parla di un Paese meraviglioso, l'Italia, dominata per trent'anni da una classe politica incompetente, corrotta, sorda e incapace.
Per "L'intervallo" le riprese si sono svolte in un ex ospedale psichiatrico abbandonato, cosa ricorda?
È un film a cui sono molto affezionato girato come dovrebbero essere girati i film, è chiuso in uno spazio claustrofobico ma tutto ciò che è fuori si capisce perfettamente. Racconta meglio di altri una realtà fatta di piccole violenze e sopraffazioni. Sul set eravamo solo in otto, i protagonisti erano due minorenni al loro esordio e essere in pochi ha avuto il vantaggio di non intimidirli. Non c'erano carrelli, abbiamo usato la luce naturale e siamo riusciti a fare passare anche le sensazioni del caldo torrido. Ricordo anche che gli attori sudavano e per quattro settimane hanno sempre indossato gli stessi abiti di scena, che alla fine erano impresentabili.
17/09/2014, 09:05
Ambretta Sampietro