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Fulvio Risuleo: "Assurdo che in tv non si vedano i corti"


Dal CNC per CinemaItaliano.info l'intervista al regista del corto "Varicella". premiato a Cannes-


Fulvio Risuleo:
Fulvio Risuleo
Intervistiamo Fulvio Risuleo, sceneggiatore e regista di "Varicella", unico cortometraggio italiano presente al festival di Cannes e soprattutto vincitore del "Prix Decouverte SonyCineAlta" alla "Semaine de la Critique". 

"Varicella", basandosi su un ben dosato umorismo nero e su un'altrettanto ben dosata atmosfera quasi misteriosa, racconta di un piccolo gioco al massacro familiare, scatenato dalle diverse reazioni di un padre e di una madre al fatto che al figlio non viene la varicella. Lei lo vorrebbe far ammalare per evitare guai peggiori nel caso la contrasse d'adulto, e il padre reagisce apparentemente sdegnato e scandalizzato. Come nel precedente "Lievito Madre", è un elemento esterno di per sé irrilevante o banale a minare la coesione di coppia e familiare.

Varicella ha uno spunto di fondo simile a quella di Lievito madre: un elemento esterno di per sé forse poco rilevante, che però mina la coesione di coppia e familiare. Come mai è affascinato da questa "tematica"?

In effetti lo spunto è simile. Nei cortometraggi è bello indagare e approfondire le piccole cose della vita. Atmosfere, mezze idee, suggestioni. Diciamo che quando l'idea arriva cerco di pensare a come svilupparla e come far degenerare la storia. Il fatto che un elemento esterno possa alterare delle dinamiche della realtà è qualcosa che sto approfondendo in questo periodo.

I suoi corti sono attraversati da un umorismo di fondo, cinico e quasi grottesco: quali sono i suoi modelli di riferimento nel campo ­diciamo così­ della commedia e dell'umorismo al cinema? E, in seconda battuta, anche se il film non è propriamente una commedia, cosa pensa delle commedie "mainstream" che negli ultimi anni vanno per la maggiore in Italia?

L'umorismo e il comico mi piacciono molto, ma gli spunti arrivano dalla vita di tutti i giorni. Mi capita di essere divertito molto più in una conversazione tra amici che in una sala cinematografica. Sono sempre affascinato dalle persone che riescono a far ridere con naturalezza. Io sono partito dal raccontare una storia senza sapere quale sarebbe stato il registro; qualcuno ride, qualcuno rimane più serio... per me vanno bene tutti i tipi di reazione.
Mentre scrivevo mi sono riguardato un po' di film di Bergman, che però in effetti non è molto comico come regista.
Sulle commedie mainstream italiane (ma anche la maggior parte di quelle straniere) posso dire semplicemente che non mi piacciono. Quando si cerca di fare un film per "tutti" e ancora peggio "rassicurante", il rischio è che si cada nelle convenzioni narrative viste e riviste e ciò genera in me, come spettatore, una gran noia. Direi che l'unica cosa buona che potrebbe fare una commedia commerciale italiana è portare dei soldi per fare film di ricerca, con storie diverse. Magari film con dinosauri vegetariani, uomini a due teste, viaggi spaziali o semplicemente idee un po' più originali. Ma questo da noi non succede.

A livello stilistico, lei, mi pare, ha lavorato molto sul rapporto tra i volti e i corpi e lo spazio e l'ambiente che li circondano. È esatta come annotazione? Ci potrebbe dire qualcosa sulla sua idea di "stile"?

Quando si fa un corto interamente ambientato in una cucina e girato in una location reale risulta difficile stare più larghi del mezzo busto. Quindi bisogna lavorare su ogni singola inquadratura cercando di renderla differente una dall'altra. Ogni taglio deve comunicare qualcosa di diverso allo spettatore. Abbiamo lavorato sui dettagli, sull'atmosfera e soprattutto sul dialogo.
"Stile" credo sia una parola semplice per sintetizzare un complesso processo creativo. Come lo racconto? Che immagini uso? Come comunico quell'emozione allo spettatore? Quale sarà lo strumento giusto? Alla fine si parla di "stile", ma prima c'è stato un gran lavoro.

Qualche sua considerazione sul mondo del cortometraggio in Italia; cosa funziona e cosa invece sarebbe da rivedere?

Non esiste un vero e proprio "mercato". I corti che si fanno sono quasi tutti autoprodotti. Ogni tanto escono fuori lavori professionali, ma il più delle volte sono ibridi poco affascinanti. Ci sono molti festival del cortometraggio e forse i più interessanti sono quelli piccoli, organizzati da persone appassionate.
Mi sembra sempre assurdo che in televisione non si vedano i cortometraggi, penso sia il medium giusto per diffonderli (finchè dura). Ma è sicuro che ho trovato le cose migliori per caso su internet.

Collegandosi alla domanda precedente, come vorrebbe contribuire al rinnovamento e allo sviluppo del nostro cinema, ora che ancora lavora nel mondo del cortometraggio?

Cerco di stare fuori dagli ambienti che non mi piacciono e intanto provo a creare un dialogo con gli artisti che stimo. Spero che il futuro del cinema italiano sarà fatto da persone che si aiuteranno tra loro, che si parleranno e che non saranno competitive nel senso negativo del termine.

Ha già qualche idea per un lungometraggio?

Stiamo preparando un film prodotto dalla Revok, che è la stessa casa di produzione del corto Varicella. Il film sarà chiamato GUARDA IN ALTO ed è scritto insieme ad Andrea Sorini: è la storia di un mondo parallelo che esiste sui tetti di Roma. Una racconto tra realtà e finzione.

È il secondo anno che lei è presente al Festival Di Cannes: come giudica queste esperienze, e, in generale, quale è per lei l'utilità di un festival di questa importanza e richiamo?

Cannes è il festival più importante per il "mercato" perchè è frequentato solo da addetti ai lavori. In una sala di 500 persone sai già che ci sarà qualcuno interessato a comprare il tuo corto o proporti qualcosa. I festival come Cannes servono a dare visibilità ai lavori. Sono delle fiere dove puoi scoprire cose di cui non conoscevi l'esistenza.

Intervista a cura di Edoardo Peretti

26/05/2015, 08:09