Note di regia di "Zac - I Fiori del Male"
Più vado avanti negli incontri-interviste-telefonate-email e più scopro nuovi aspetti del genio di Zac, con opere vive, di una potenza, una carica inimmaginabile per la mia generazione, che non studia la storia moderna. Opere degli anni Settanta veramente rivoluzionarie, nel colore, nel linguaggio, opere di una leggerezza creativa straordinaria che le rende ancora attualissime nei contenuti, forse perché realizzate in un contesto politico-socio-economico che sento identico, se non nelle bombe.
E poi le formidabili animazioni, con ritagli di foto, giornali, sperimentazioni di cui Zac è protagonista con Bruno Bozzetto, Manfredo Manfredi, i fratelli Gavioli, un cinema di animazione italiana di assoluto respiro internazionale, un’avanguardia da fare invidia anche alle produzioni faraoniche di Disney.
Il tutto mi palesa però l’enorme vuoto di memoria collettivo, durato almeno trent’anni, un silenzio colpevole su quello slancio prorompente che voleva “la creatività al potere”, che voleva distruggere l’ideale di società ordinata e razionale, un silenzio che ha tirato con sé nell’oblio molti intellettuali attivi dal dopoguerra, negli anni Settanta.
Un silenzio che ha fatto terra bruciata di personalità di così grande spicco, della loro lezione che scardina nel profondo ogni logica conformista e scontata, esempi critici senz’altro fondamentali per determinare un progresso delle coscienze e della società.
Penso subito all’ostracismo verso artisti e intellettuali come Pasolini, Sergio Saviane, Italo Calvino,
Giorgio Gaber, Demetrio Stratos e anche Pino Zac, figure che laddove non ignorate vengono comunque epurate, nella forma e nel contenuto, un’operazione da laudatio funebris in cui purificare la storia del defunto ad uso e consumo del buon costume, dell’interesse, della ragion di stato. Il tutto troppo spesso accompagnato dall’incapacità di ricordare i propri maestri, la propria memoria.
Un deficit di memoria, di oralità, che ora più che mai può e deve essere colmato, con gli strumenti che il nuovo millennio ci fornisce per condividere la memoria, le informazioni.
Decido così di far parlare il luogo, l’ultima dimora di Zac, e sopratutto gli interni del palazzo Muzj, che sono un ambiente immaginifico che respira e attende solo di essere liberato dalla patina di polvere in cui è avvolto. E poi il silenzio pesante dell’abbandono, attraverso Valter Zarroli, che da decenni non entrava in questa casa-castello dove aveva lavorato con l’amico Pino, fino al pomeriggio d’agosto dell’85 in cui scomparirà, a letto con una delle sue bellissime compagne.
Valter si è formato con Pino, era il suo “fedelissimo” e pertanto volevo cogliere il suo ritorno in quel palazzo nella maniera più naturale possibile, senza nulla di costruito, senza troppe distrazioni e occhi indiscreti.
Ho così deciso di filmare da solo le sequenze con Valter, lasciandolo completamente libero di muoversi, perché in fondo questo era il suo ritorno, un momento suo, privato.
Per due giorni è stata una ricerca intima e appassionata di spazi e oggetti, in cui io passavo dall’essere una spalla che lo accompagna, allo scomparire diventando come un muro che lo scruta; ed è in questi momenti che lo stupore e la nostalgia di volta in volta si accavallavano in lui, ogni tanto si fermava davanti la camera a raccontare un barattolo, una stanza, un dettaglio dell’arredamento, ma nulla valeva quanto il racconto del suo sguardo, dei suoi passi talvolta scattosi, delle sue pause coi suoi silenzi.
Dietro la cinepresa vedevo che ogni passo, ogni oggetto afferrato era per lui uno scavare il ricordo, talvolta sofferto, fra trentanni di memorie sospese. E forse anche tra i motivi che, dalla morte di Zac, lo spinsero a tirarsi fuori dal “baraccone” della satira e dell’informazione italiana, perché sempre meno “contro”, con troppi compromessi ai quali dover sottostare per “campare” in una editoria sempre più ingessata, o piuttosto per l’averci visto un ambiente senza memoria, senza riconoscenza, o semplicemente per disillusione.
Il silenzio dal caos degli anni di piombo.
La polvere grigia dal colore vivo.
E poi, d’un tratto, un ricordo, forse un sogno: un italiano folle nel vento.
Giuseppe Zaccaria, per sé e per tutti Pino Zac.
Massimo Denaro