TFF33 - Stefano Galli: "La mia America, come la immaginavo"
Opera prima, interamente realizzata da
Stefano Galli, fotografo modenese da quattro anni residente negli Stati Uniti: "
Lamerica" è in competizione nella sezione Italiana.Doc del TFF33. Abbiamo intervistato il regista.
"Il progetto è nato come un reportage fotografico", ha spiegato. "Ho avuto l'occasione di fare un
coast to coast, e mi sembrava un peccato non sfruttare le occasioni che sicuramente avrei avuto di conoscere gente diversa nei diversi luoghi che avrei visitato per farne qualcosa di più. Così è nato questo mio primo documentario, realizzato in
due viaggi in cui ho visitato in tutto 25 stati diversi (dovevano essere tutti e 50 inizialmente, ma per motivi di budget non è - ancora - stato possibile)".
"Potevo realizzarlo in molti modi diversi, avevo pensato ad esempio di fare le foto e registrare l'audio, ma alla fine ho comunque mantenuto
l'idea di una cartolina, con il 98% circa di immagini statiche, anche per mantenere un collegamento con la fotografia".
Vera forza de "
Lamerica" è il lavoro sul montaggio. "Ho creato dei veri e propri siparietti in cui sembra che i vari personaggi interagiscano tra loro, anche gli sguardi sono rivolti nelle giuste direzioni. Il lavoro di costruzione è stato molto complicato, anche per cercare di accostare nel modo migliore i paesaggi e i discorsi (come il prete che "confessa" il rapper, per esempio, o gli spari al banditore d'asta)".
"
Ho girato da solo, in macchina, per le strade secondarie, e quando trovavo un paese che mi ispirava mi fermavo. Lì poi cercavo un volto che mi convincesse, e che fosse disposto a parlare. Solo in due casi ho dovuto preparare prima l'incontro (l'esperto di bigfoot e il poliziotto), sarebbero stati impossibili da recuperare altrimenti. Avevo una mia lista di "tipologie" di personaggi che volevo incontrare, ma solo quella (e ci sono poche donne perché spesso non accettavano di parlare, non per mia scelta!)".
"Per ogni stato in cui andavo usavo
1 cartuccia da 100 piedi, 3-4 minuti di durata. Non davo indicazioni specifiche agli intervistati, solo di dire il proprio nome e poi parlare: c'ero solo io, ma non li guardavo nemmeno in viso perché ero chinato sulla camera, e questo li rendeva molto tranquilli e a loro agio. Alcuni hanno parlato pochi secondi, altri molti minuti oltre la fine della pellicola: volevo anche costringere lo spettatore a guardare in faccia qualcuno che sta lì sullo schermo per 5 minuti, parla un po' ma anche no, e vedere le reazioni".
"Quando sono partito avevo alcuni miei riferimenti, oltre al mito americano con cui sono cresciuto (e che in buona parte non ho ritrovato, l'ho dovuto in qualche modo "ricostruire" io). Ho girato nello stesso paesino di
"Paris, Texas" di Wenders, mio film di culto, ricercando la stessa inquadratura, e il vecchietto sul trattore è un chiaro omaggio a
"Una storia vera" di Lynch. Invece il titolo non è minimamente legato al film di Amelio, confesso che non sapevo nemmeno esistesse quel film! Mi piaceva il gioco di parole "storpiate"...".
E ora? "Mi piacerebbe che il film venisse visto, ovvio. So che non è un prodotto facile, ma intanto dopo Torino saremo ad un importante festival in Svizzera. E poi mi piacerebbe che negli USA lo usassero per conoscersi meglio, a livello didattico. Per ora anche per i festival da là non ho avuto alcun riscontro, ma siamo solo all'inizio!".
RECENSIONE DI LAMERICA25/11/2015, 17:08
Carlo Griseri