Note di regia di "Un Posto Sicuro"
Appena impari a riconoscere l’amianto ti accorgi che è ovunque, in provincia come nelle grandi città. Era considerato un materiale eccezionale, isolante e indistruttibile, per questo l’hanno chiamato “Eternit”. Invece non è affatto eterno, si sfibra e rilascia nell'aria dei filamenti che respiriamo. A Casale Monferrato lo sanno bene: tutto era cominciato agli inizi del '900 quando la fabbrica aveva aperto i battenti e il sogno di un posto sicuro, ben pagato, aveva travolto tutti.
Verso gli inizi degli anni ’70 però tutte quelle morti tra gli operai iniziarono a non sembrare più naturali, poi il disastro iniziò a colpire le mogli degli operai, che lavavano a mano le tute da lavoro sporche d’amianto, e infine i cittadini vittime della polvere liberata dallo stabilimento così a ridosso del centro città. In tutto quasi duemila morti, uno sterminio in una città così piccola: e non è ancora finita, il picco di vittime è drammaticamente previsto per il 2020.
Il percorso di ricerca e scrittura è stato lungo, condiviso con Marco D'Amore che è anche il protagonista del film. I cittadini di Casale hanno accolto me e Marco per primi e poi tutta la troupe con straordinario affetto, affidandoci l'incarico di raccontare un disastro sconosciuto ai più.
Sembra impossibile ma l'amianto è ancora prodotto nei due terzi dei Paesi del mondo. È una vicenda non ancora conclusa, non lo sarà fino a che non verranno bonifica e giustizia. Presto o tardi, ovunque, qualcuno guarderà a quanto è accaduto a Casale Monferrato e ne trarrà esempio.
Sono nato a Torino ma cresciuto ad una manciata di chilometri da Casale, dove tutt'ora risiedo: l'esigenza di raccontare la storia di un ragazzo che deve fare i conti con la malattia del padre e dunque scopre le dimensioni del disastro, è nata da sé. È una storia che parla di rinascita, di vite che si rimettono in moto e danno un senso al proprio esistere, sullo sfondo di una città che cerca giustizia.
Francesco Ghiaccio