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Note di regia de "La Classe degli Asini"


Note di regia de
La proposta di Matteo Levi di dirigere “La classe degli asini” mi è sembrata una di quelle offerte che non si possono rifiutare. In primo luogo perché racconta una storia vera: quella di Mirella Antonione Casale, una professoressa di italiano e poi preside che negli anni settanta tra i primi ha avviato una sperimentazione sull’inclusione dei ragazzi disabili all’interno delle classi ordinarie. Lei stessa madre di una bambina affetta da grave handicap, Mirella ha accolto nella sua scuola i ragazzi che fino ad allora venivano confinati nelle cosiddette classi “differenziali” e “speciali” e la sua sperimentazione ha contribuito fortemente all’ approvazione della legge “Falcucci” che ha infine reso obbligatoria l’inclusione dei disabili nella scuola ordinaria e ha decretato l’abolizione delle classi speciali e differenziali. Queste erano un ghetto dell’istruzione che raccoglieva non soltanto gli alunni disabili, ma anche i cosiddetti “disadattati”, ragazzini difficili, spesso provenienti dalle classi sociali più umili e disagiate, o nel caso di Torino, dove si svolge la storia, figli di emigrati del sud, che magari parlavano in dialetto o faticavano ad integrarsi. Una storia straordinaria, fuori dal comune, ma semplice e bellissima. Il secondo motivo che mi ha spinto ad amare il progetto è che si tratta di una storia degli anni settanta, epoca in cui io stesso andavo a scuola, come i protagonisti del film e che mi ha permesso di ricordare, e, spero, di far ricordare, quell’Italia, tanto spesso e giustamente rammentata come quella degli anni di piombo, ma che era capace di produrre atti di civiltà di cui essere orgogliosi come appunto la legge “Falcucci” o la legge “Basaglia”, entrambe poi elette a modello di analoghi provvedimenti negli altri paesi d’Europa e del mondo.

Un’epoca in cui anche nella scuola, soprattutto nella scuola, la fantasia si mescolava alla tradizione, generando nuovi modi di insegnare e di apprendere, come quello di Mirella Casale, ma anche di tanti insegnanti di frontiera, che cercavano di portare la cultura dove non era mai arrivata, anche e soprattutto tra i “disadattati”, tra quelli che la scuola aveva respinto o non aveva voluto. Ognuno di noi, ha incontrato almeno una volta nella sua vita scolastica un insegnante speciale, capace di portare il vento della passione nelle grigie giornate d’inverno passate sui banchi. Il personaggio di fantasia che impersona e dà un volto ai tanti, sconosciuti, piccoli “Don Milani” di quegli anni è nel film il professor Felice Giuliano, interpretato da uno straordinario Flavio Insinna. Il terzo motivo è stata la possibilità di raccontare questa storia anche dal punto di vista dei bambini. Quelli di Flavia, la figlia di Mirella, colpita da una encefalite e costretta ad una grave disabilità psichica, e quelli di Riccardo Mancuso, ribelle e “disadattato”, scacciato dalla scuola normale e assegnato a un istituto “differenziale” da cui non può che scappare e scappare, in cerca di libertà. Flavia e Riccardo diventano vicini e uniscono le loro diversità, facendo scattare il miracolo di un’amicizia, l’accensione di una piccola luce che porta Flavia a reagire per la prima volta al gesto affettuoso di un coetaneo. La prova che l’integrazione è non solo possibile, ma che produce risultati impossibili altrimenti. Raccontare “La classe degli asini” attraverso i loro occhi e quelli degli altri ragazzi, ci ha dato la possibilità di descriverla come una storia vera, ma anche come una avventura, colorata e vitale, libera, come ogni impresa fatta da e per dei ragazzi. Tante volte ho riso, mi sono commosso, mi sono sentito parte di una comunità più grande di quella di una troupe. E lo devo tutto a loro, ai ragazzi, a Giovanni D’Aleo, che interpreta Riccardo Mancuso, a Aurora Giovinazzo, che interpreta Flavia Casale, e con cui ho il privilegio di lavorare per la seconda volta, e a tutti gli altri giovani interpreti. Ma soprattutto devo ringraziare Vanessa Incontrada, che è stata una Mirella Antonione Casale forte e fragile, appassionata e coraggiosa, dolce e determinata. Proprio come la vera Mirella. Vanessa ha creato e ha saputo restituire una donna piena di empatia, una di quei tanti eroi per caso, che nel nostro paese, senza far notizia, hanno saputo costruire e costruiscono qualcosa che va oltre loro e che resta per gli altri. E’ stato entusiasmante lavorare con Vanessa e con Flavio, che hanno duettato come i loro personaggi, dapprima diffidenti l’una dell’altro, poi alleati e amici, divenendo una sorta di madre e padre di una nuova comunità, nella finzione e nella vita del nostro set. Non posso che ringraziarli per la lezione che mi hanno dato di umanità, talento e grazia, insieme a Fabio Troiano, a Monica Dugo e a tutto il cast. E non posso che essere grato a tutti gli amici e colleghi che ci hanno aiutato a realizzare il film: Marcello Montarsi, per la fotografia, Beatrice Scarpato per la scenografia, Fabio Angelotti per i costumi, Simona Paggi per il montaggio, il maestro Francesco Cerasi per una musica che batte allo stesso ritmo di quegli anni e di un cuore di ragazzo, gli autori Pietro Calderoni e Gualtiero Rosella. E prima di tutti Matteo Levi, per aver pensato a me, e la Rai, con Francesco Nardella e Marta Aceto, per avermi dato tutto l’aiuto, la fiducia e il sostegno del loro lavoro attento e preciso. Infine devo ringraziare l’Anffas, la famiglia Casale, l’associazione “Tutti a scuola” e Fabio Masi, senza il cui aiuto e consiglio il film non sarebbe stato possibile e tutti i genitori dei ragazzi che hanno lavorato nel film, che insieme a noi hanno patito la fatica e la gioia del set, il caldo, in una delle estati più roventi degli ultimi cento anni, in abiti invernali, donandoci il gioco impagabile della loro fantasia, pazienza, allegria. Fare un film sulla scuola è una grande e bella possibilità di ricordare come ci si sentiva quando si era ragazzi. Insegnare significa scegliere cosa c’è di importante nel proprio DNA culturale ed emotivo e cercare la via più sincera per trasmetterlo. Imparare è crescere in mezzo a istinti contrastanti: quello di credere e quello di dubitare, quello di sopravvivere, ma soprattutto di imparare a vivere. Fare scuola è il primo stare insieme, la comunità dove per prima si apprende a misurarsi con gli altri. Quello che è certo è che alla lunga è impossibile mentirsi. E che qualcosa resta sempre.

Andrea Porporati