Miriam Leone ed Elio Germano
Sacro e profano si alternano velocemente in
Elio Germano: alla veste del saio francescano (Il sogno di Francesco), l’attore romano (e anche il pubblico) preferisce di gran lunga quella di Nino Manfredi. "
In arte Nino" omaggia infatti il grande attore ciociaro dagli anni della giovinezza trascorsi all'Ospedale Forlanini a causa di una grave malattia, fino a quelli della formazione per quella sempre più grande passione per la recitazione.
Più che Nino, viene raccontata la storia di Saturnino in un’ottica intima, tramite il difficile rapporto con la famiglia, con il padre rigido ed esigente, la madre sognatrice e apprensiva e il fratello fin troppo inquadrato. Un racconto in cui si nota nella poeticità con cui viene descritto il rapporto tra Manfredi e l’arte (sia musicale che recitativa) o nella sua ironia, l’occhio riconoscente di un figlio. Un ritratto che per il punto di vista scelto, si discosta dai biopic televisivi, preferendo introspezioni un po’ romanzate ma paradossalmente più apprezzabili e interessanti. Non è solo Elio Germano a valorizzare il personaggio che interpreta: da
Stefano Fresi, a Duccio Camerini, fino ai personaggi secondari affidati a grandi professionisti come
Leo Gullotta, Giorgio Tirabassi o Roberto Citran, il film nella sua credibilità corale trova un'ulteriore forza.
È proprio nel finale che il pubblico si convince dello scopo del film e in quella chiusura in cui anche il pubblico vorrebbe partecipare. Non occorre infatti ricordare il grande Manfredi di "
Brutti, Sporchi e Cattivi" o degli esordi con "
Totò, Peppino e la Malafemmina", ma scoprire il Saturnino che strimpella la chitarra per l'amico che ha paura di morire, che non risponde all’appello durante un esame o si diletta a personalizzare una parte con l’accento ciocario. Occorre scoprire e applaudire Nino Manfredi non solo per i successi della vita, ma anche per il modo di affrontarla questa vita.