UNA GITA A ROMA - Due bambini, la città eterna e l'arte
Ci ha messo tutta la buona e sincera volontà, ma Karin Proia fatica non poco nel suo debutto da regista. Anche noi siamo buoni e sinceri e senza pregiudizi (anzi alla disperata caccia di belle novità) ma "
Una gita a Roma", l’opera prima che l’attrice ha diretto e in uscita il prossimo 4 maggio, proprio non funziona.
A parte i camei di tanti “amici” e una mano da persone del mestiere il film di Proia si presenta in una confezione ai limiti dell'amatoriale, partendo dalla sceneggiatura e dai dialoghi, passando per la recitazione e la regia e finendo con il montaggio. Le ristrettezze di budget possono giustificare in parte una realizzazione stretta, col respiro corto e non in grado di rendere la grandezza della città del titolo, dando anzi spesso l’idea di situazioni “rubate” ovvero girate senza gli adeguati tempi e permessi.
La scrittura della storia sembra più voler cercare soluzioni agli accadimenti che creare eventi e personaggi autonomamente credibili e in grado di esistere al di là dell’uso che se ne fa nel film. Le scene sono spesso viste accadere e successivamente raccontate a terzi, creando il micidiale e televisivo effetto doppione.
Molte inquadrature indugiano sul finale, un difetto causato sia dalla mano poco esperta della regista forse timorosa di dire stop, sia da quella del montatore, il molto esperto
Mirko Garrone, che per qualche misterioso motivo non riesce a dare un taglio alle scene nel punto giusto.
Ok, il film è una favola, però agli spettatori non vanno raccontate frottole. La credibilità deve essere sempre sostenibile mentre spesso "
Una Gita a Roma" diventa improbabile come quando, ad esempio, il bambino protagonista usa il telefono pubblico senza scheda chiamando casa e il cellulare della mamma. Non è così che funziona, non è così che si riesce a far entrare lo spettatore nella storia anzi, lo si accompagna verso l’uscita principale.
18/04/2017, 16:38
Stefano Amadio