Note di regia di "Blue Unnatural"
Vengo da una famiglia in cui si respirava arte: mio nonno materno era un artista e mio padre si dilettava a farlo – dipingeva un po’ alla Pollock. Quindi sono cresciuto con i colori come mezzo d’espressione: sono nato nel 1974, e già alle elementari sognavo di fare l’artista. Avevo questa necessità di raccontare le cose che vedevo e quelle che sentivo, e quindi mi esprimevo attraverso la fotografia e la pittura, mescolando le due tecniche. Mi rendo conto che il cyberpunk letterario è un genere che si sviluppa in periodi temporali ben specifici, e che oggi possiamo considerarlo morto, ma non la sua filosofia; non si può dimenticare come abbia evidenziato e focalizzato degli elementi che sono tuttora molto contemporanei, a partire dal rapporto uomo-macchina. La macchina è il nostro presente, è nel nostro corpo (attraverso i peacemaker, attraverso le protesi, attraverso telecamere che ci visitano, che ci controllano): stiamo percorrendo sempre di più quella strada che gli scrittori ed il mondo cyberpunk avevano profetizzato. Il futuro si sta realizzando e concretizzando portando alla ribalta le tematiche che avevano previsto: il controllo dell’energia, il controllo dell’acqua, le multinazionali e il mercato dei dati.
Ho creato una città-mondo, basata sulle “malformazioni” della nostra realtà come monito. Raccontare le proiezioni future di queste problematiche è discutere quelle contemporanee, concependo il fare politica dell’arte come analisi del sociale. La visione del futuro è stata immaginata spesso come il momento di una nuova grande speranza, il tempo in cui la tecnologia avrebbe aiutato l’uomo a vivere in pace e prosperità, lontano dalle malattie e dal dolore. Oggi questo non esiste più, abbiamo una visione molto più cupa; grazie anche al cyberpunk abbiamo compreso come la tecnologia non sia sempre positiva per l’uomo e come gli uomini-macchina possano diventare dannosi. È un fatto che il post-umano ponga grandi interrogativi. La fine del futuro è la fine di questa speranza, la fine del tempo delle risposte e l’inizio di quello delle domande. Sendai City è una work in progress fantascientifico, ma in realtà è una scusa per parlare delle grande tematiche contemporanee: le mutazioni genetiche, il rapporto uomo-macchina, ma soprattutto l’uso politico della propaganda e la tendenza, sempre più attuale, di considerare la guerra come l’unico mezzo per portare la pace.
Marco Bolognesi