Note di regia di "Finalmente Sposi"
Raccontare storie e far ridere la gente sono le mie occupazioni professionali prevalenti ormai (ma sarebbe più opportuno un ahimè ) da più di 40 anni. Ancora oggi devo molto a quel ragazzetto ostinato che, tanto tempo fa, ha creduto, con determinazione ed anche con una fenomenale testa dura, che ci fosse bisogno, nel mondo dello spettacolo, di uno stile unico, bislacco e stralunato come il suo. Uno stile e un modo di pensare e di lavorare intorno alle cose dell’arte e alla sua bellezza che hanno reso possibili nel cinema, nel teatro e nella televisione eventi e creazioni che sono diventate, mio malgrado, leggendarie. Lo dico con allegria e anche con un certo senso di meraviglia e di stupore, e solo perché so di non poter essere smentito. Finalmente Sposi non poteva essere un'eccezione a questa regola. Ed è sicuramente frutto anch’esso dell'applicazione di questo stile che, in un primo momento, può creare non poche incertezze e smarrimenti. Essere trascinati in territori inesplorati, perdere le proprie abitudini e le proprie certezze, essere abbandonati in un labirinto di ambiti e punti di vista mai frequentati prima di allora, dover usare il proprio talento perdendo ogni punto di riferimento e camminando veloce e contromano non fa piacere a nessuno. Eppure è solo in quel momento, quando l'artista e soprattutto i comici perdono ogni appiglio e ogni certezza, che si genera quella scintilla, quel particolare battito di emozione, quello straordinario momento magico che consente loro di essere equilibrio, armonia, regola e stabilità proprio nel momento in cui tutto va in frantumi. E’ anche vero che avere il privilegio di dirigere due delle maschere più interessanti nel panorama comico attuale comporta non poche responsabilità. Muovere all'interno di una storia due clown, così potenti, così amati, così semplicemente efficaci, così capaci di comunicare con età e ceti e ambiti e ambienti differenti e trasversali tra di loro può non essere un’impresa facile. Bisogna fidarsi e affidarsi gli uni agli altri, stimarsi moltissimo, essere pronti a vampirizzarsi a vicenda in uno scambio furibondo, appassionante e a tratti sconvolgente e soprattutto, volersi molto bene. Bisogna fare questo ma anche ricordarsi di: essere artisti ma soprattutto artigiani disposti a rimboccarsi le maniche e a sporcarsi le mani. non accontentarsi di essere soltanto spiritosi ma cercare, con ogni risorsa e con tutte le energie, di essere comici ad ogni costo. essere consapevoli di quanto sia nobile essere clown e quanto sia doloroso invece doversi accontentare di essere soltanto dei poveri pagliacci. non avere paura di crescere davanti al proprio pubblico e capire che, di tanto in tanto e con parsimonia, si può e si deve rinunciare ad una risata per far esplodere, potente, un’emozione. Una delle prime cose che s’insegna ai prestigiatori è che non devono mai dichiarare che trucco o che effetto stanno per eseguire. Questo gli permetterà, in caso di errore, di rifugiarsi rapidamente in un'altra routine magica senza che il pubblico si accorga dello sbaglio. E siccome i registi, quelli di cinema in particolare, sono un po’ illusionisti, maghi, ciarlatani e imbonitori non mi sembra il caso, nemmeno per delle note di regia, svelare prima il sortilegio magico che ho preparato. Senza dire troppo posso tuttavia affermare che: per la sua naturale vocazione di rito collettivo di proiezione in un luogo magico e oscuro di persone, personaggi e ombre mai presenti realmente in sala e proprio per questo ancora più mitiche e fantastiche, per la sua capacità di raccontare una vita che è già stampata immutabile in ognuno dei fotogrammi che compongono il film ma che ha bisogno, per essere vissuta veramente, della presenza di uno spettatore che voglia renderla reale guardando uno per uno tutti quei fotogrammi, il cinema è fonte inesauribile d’incantesimi irripetibili. Per uno come me, che ha iniziato a fare questo lavoro fra moviole, giuntatrici con mastice e nastro adesivo e i metri di pellicola che valevano più del Sacro Graal, poter godere oggi del tripudio di innovazioni tecniche che offre il cinema digitale è una festa apparentemente senza riserve e controindicazioni. E sicuramente è così! Chiunque voglia raccontare oggi una storia al cinema ha il dovere e l’obbligo di tenersi sempre aggiornato sulle ultime tecnologie. La sua ignoranza in merito andrebbe irrimediabilmente a discapito della possibile qualità espressiva del film. Per Finalmente sposi la scelta è stata quella di utilizzare ogni nuovo ritrovato tecnico senza risparmio facendo però bene attenzione che la nuova possibilità tecnica non fosse esibita in quanto tale e solo perché “ è trendy e di moda “ mostrarla ma, al contrario è stata volutamente nascosta in maniera che fosse risorsa invisibile ma fondamentale e indispensabile al completo supporto emotivo dei personaggi e delle storie del film. La vera innovazione che avevo deciso di utilizzare all’interno del film è stata quella relativa allo studio di altre discipline che potessero rendere ogni performance recitativa più consapevole rispetto a tutta una quantità di informazioni che spesso attori e registi rinunciano ad utilizzare ma che, nell’ambito delle nuove regole di comunicazione, che diventano sempre più estreme e radicali, non possono più essere ignorate e vanno applicate anche nell’ambito di forme di spettacolo come il cinema. Dato che tecnicamente si può fare ormai tutto, più che cercare nuove tecnologie ho capito che dovevo migliorare le forme di comunicazione tra attore e spettatore che proprio quella tecnologia avanzata poteva ormai riprendere come mi pareva e piaceva. Se il cinema è cominciato con la gente in fuga davanti ad un treno che non esisteva, se il mio lavoro di regista somiglia sempre più a quello degli illusionisti e dei mentalisti, allora è chiaro che l’innovazione al cinema passa oggi solo attraverso l’applicazione di nuove regole di comunicazione e di nuovi sistemi di persuasione emotiva. Agli schemi classici del racconto in fase di preparazione e di ripresa, ho aggiunto tutta una quantità di elementi che si riferiscono, per esempio, al mondo della PNL, la programmazione neo linguistica, alcune inquadrature seguono alcuni pattern tipici dell’induzione ipnotica o della comunicazione subliminale, la direzione degli attori è stata studiata secondo canoni precisi derivanti dai segni percepiti, in maniera diretta e senza filtri logici, dal pubblico proprio perché parte dei criteri della comunicazione non verbale. Credo sia questa una delle nuove frontiere di ricerca nel settore. Raccontare con più precisione, servendosi di nuovi mezzi espressivi che, come si fa con una musica o con un movimento della macchina da presa, definiscono il piano emotivo di una scena. Strumenti ancora insoliti, inediti ma non per questo meno efficaci, data la loro provenienza scientifica. Le stesse cose che magari un grande attore faceva, istintivamente e senza rendersene conto grazie al suo talento, possono invece essere replicate grazie a queste nuove tecniche, studiando, in maniera consapevole e inesorabile, una partitura emotiva di base che colpisca la parte più profonda e vulnerabile dello spettatore, aggiungendo verità e passione al racconto del film. Questa è la ricerca e il piacere di guardare verso altre tecniche e altre possibilità espressive. Fortunatamente resta comunque saldo il principio che il regista deve procurarsi degli ingredienti e rispondere a una moltitudine di domande. Più risposte giuste sarà stato capace di dare, per talento ma anche solo per fortuna, e più bello sarà il film. Più saranno buoni gli ingredienti e più saporito potrà essere il piatto che servirà ai suoi spettatori. E fortunatamente, oggi come allora vale la regola che per fare un buon film occorre una buona sceneggiatura, ottimi attori, belle musiche e, perché no, un bravo regista.
Lello Arena