Ho scelto di realizzare questo film ancor prima di conoscere quale fosse la sua storia. Ho scelto di produrre questo film perché ho creduto nell’autore che me l’ha proposto. Documentarista riconosciuto a livello internazionale, Giuseppe Petitto era in grado di suscitare una forte emozione in tutto ciò che attraversava la sua macchina e trasportare lo spettatore attraverso il suo immaginario, in un mondo ricco di suggestioni e significati.
I suoi reportage di guerra, i mesi vissuti al fronte, la necessità di raccontare con sincerità realtà mai viste così da vicino impressionano e commuovono.
Dopo un percorso così pieno di valore e coraggio, Giuseppe arrivò alla sua opera prima con il carico di esperienza e professionalità di un regista affermato. Sposò insieme a me una nuova modalità produttiva che lo vedeva nuovamente in prima linea, questa volta a fare i conti con sfide di altro genere: coniugare la creatività e l’arte alle esigenze produttive. Il nostro obiettivo, infatti, era creare un film dove l’arte si lega e si rivolge in maniera ideale al mercato: credo che il “sogno” di questo film sia stato realizzato, dal momento che allo spettatore viene data una prospettiva – o un accesso percettivo – su un mondo che la realtà non può offrire. Questo è un film che riesce a usare l’identità sociale delle persone e i valori emozionali della famiglia per rendere partecipi gli spettatori in una storia di sofferenza.
Allo stesso tempo, è vero anche che in termini di fruizione mass mediale, cerchiamo prodotti che confermino le nostre identità, o per lo meno i nostri valori personali. In ogni caso i film di maggior successo credo siano quelli che usano i nostri preconcetti o identità per sedurci, per dimostrare qualcosa di più importante.
Questa è l’arte di Giuseppe Petitto.