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Note di regia de "Il Mondiale in piazza"


Note di regia de
Milioni di italiani hanno pianto e sofferto per la mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali di Russia 2018. Per la prima volta, dopo sessant’anni, è venuto a mancare il più tradizionale appuntamento calcistico, rara occasione di unità nazionale: da lì, una sensazione di improvviso smarrimento, che accomuna tutti i cittadini italiani, persone nate e vissute in Italia, che hanno condiviso percorsi scolastici, abitudini e stili di vita. A prescindere dal colore della pelle o dal nome che i genitori hanno dato loro. Da questa riflessione è nata l’idea del cortometraggio Il Mondiale in piazza, che ho voluto ambientare nel sud dell’Italia, a Bitonto, mia città d’origine, dove convivono tante comunità diverse di immigrati stabilmente residenti sul territorio, tra cui numerosi giovani di seconda generazione. Il calcio è uno sport che unisce e può far andare al di là dei pregiudizi e delle barriere: torna subito alla mente ciò che accadde durante la prima guerra mondiale, quando questo sport fu in grado di sconfiggere anche le barbarie del conflitto. Era la notte di Natale del 1914, inglesi e tedeschi si fronteggiavano dai due lati delle trincee e stanchi di tanto dolore scelsero di interrompere il massacro per un giorno, organizzando quella che passò alla storia come la partita della pace. Ecco la potenza del calcio. Senza evocare eventi così tragici, questo lavoro vuole indagare su cosa significhi essere e sentirsi veramente italiani e quali possano essere gli strumenti per facilitare il difficile percorso dell’integrazione. Il nostro protagonista Amhed è un ragazzo senegalese che incarna il desiderio di molti suoi coetanei di sentirsi accettati nel Paese in cui vivono, semplicemente e in modo disarmante. Nei miei precedenti lavori ho affrontato temi sociali forti - come Matilde, premiato al Tiff di Toronto, che racconta la storia di una bambina sorda - ma con uno stile sempre leggero e universale. Anche in questo caso il corto ha un retrogusto di commedia amara, senza perdere però l’animo sociale della storia.

Vito Palmieri