Note di regia di "Oscar tra le Nuvole"
Che gli smartphone e i tablet siano ormai compagni fedeli delle nostre giornate è un dato di fatto. Ma che succede quando anche i bambini non ne possono/vogliono fare a meno? L’uso smodato dei mondi virtuali che la tecnologia ci offre toglie spazio all’immaginazione, ci rende schiavi, crea dipendenza proprio come qualsiasi altro vizio. È una vera e propria deviazione mentale. Oscar è un bambino senz’altro diverso, forse per “colpa” dei genitori che per primi colgono la sua indole sognatrice. Lo tengono alla larga dagli schermi, cercano di crescerlo “alla vecchia maniera”. Eppure sbagliano, perché così facendo lo rendono debole, pecora fra i lupi. E poi Oscar sparisce. Rapito? Disperso? Morto? Può un bambino dolce, timido e senza colpa svanire nel nulla, senza lasciare traccia? La sua dipartita è un mistero almeno fino alle battute finali del film, quando si intende il suo obiettivo da vero protagonista e l’obiettivo del film stesso, metafora che vuole ispirare tutto il pubblico a un cambiamento di rotta, in una società tanto presa da tutto da non rendersi più conto di nulla. “Oscar tra le nuvole” ricalca i sentieri del sentimentalismo europeo, richiamando a quel buon selvaggio lontano dalla civiltà e per questo vero e autentico. Libero. Quando diamo uno schermo luminoso a un bambino, chiudiamo immediatamente la sua finestra sul mondo. Non è “propaganda al contrario”, è realtà. Chi ha dei figli, sa di cosa si sta parlando. Basta metter loro un telefono in mano e in un attimo smettono di piangere, di “dare fastidio”. È questa la giusta educazione? Se non piangono, se non fanno capricci, se non “danno fastidio” i bambini, chi dovrebbe farlo? È chiaro dunque come dietro a un gesto semplice, quello di “silenziare” il proprio figlio con uno sfavillante e ipnotico oggetto elettronico, si nasconda un disagio sociale più profondo: forse sono proprio gli adulti a dover essere rieducati.
Paolo Fulvio Mazzacane