Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
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HAMMAMET - Amelio: "La difficoltà di raccontare Craxi"


HAMMAMET - Amelio:
Torino, Cinema Ambrosio, ore 20:30 di un mercoledì sera. Nonostante il film Hammamet sia già uscito nei cinema da una decina di giorni, in tantissimi attendono di poter entrare in sala e ascoltare Gianni Amelio introdurre il pubblico alla visione del suo ultimo film.

Il regista si presenta agli spettatori con una mossa - volutamente, dichiarerà poi - da vera diva: scende le scale della sala accompagnato da una pioggia di applausi. Racconta alla sala silenziosa e attenta di aver colto una sfida nella realizzazione di questo film: "la difficoltà è alta quando si deve raccontare la storia di un personaggio considerato il cattivo della storia italiana".

Amelio parla di una figura agli antipodi di Maria Goretti, iconica figura che incarna il candore e la compassione di una bambina, che viene venerata come santa dalla Chiesa cattolica - e non solo - per aver subito uno stupro che la uccise. La bambina dimostra forza nel perdonare il suo assassino in punto di morte. In tanti hanno provato a raccontare la sua storia, il primo fu Augusto Genina nel 1949 con Cielo sulla palude: ne narra gli accadimenti, con sguardo neorealista ma comunque attuale ai tempi d'oggi.
Nelle parole del regista è forte la contrapposizione tra questa bambina e il protagonista del film, alla costruzione del quale si è ispirato fortemente alla storia di Bettino Craxi. Infatti non stupisce che la prima sequenza del film sia lo storico discorso tenuto durante la convention del Partito Socialista Italiano all'interno del quale il Presidente lancia dei garofani rossi ai partecipanti. La battuta successiva a questa scena è «I comunisti sono rossi come i ravanelli: rosso fuori ma con cuore morbido e bianco dentro» riscuote ilarità collettiva.

La narrazione del protagonista e delle sue vicende si intreccia con quella di due figure femminili: la prima è Anita - nome fittizio - la figlia, la vera Maria Goretti della situazione, che sopporta le angherie del padre e lo accudisce come fosse un bambino, limitando i suoi capricci dati dalla difficoltà della malattia. L'altra è la moglie del politico che viene rappresentata come la classica donna borghese il cui obiettivo è apparire, non essere. Il marito infatti racconta che spesso ha tentato di convincere la consorte a tornare in Italia, ma quest'ultima non demorde e non lo lascia mai solo: dopo tanti anni di separazione da lei a causa della politica, adesso l'uomo è finalmente suo marito a tutti gli effetti. Così la donna può prendersene cura. Ma male, sostiene il protagonista.

Queste figure sono due facce della stessa medaglia: Anita, apparentemente serena, nasconde una frustrazione derivata dal non poter difendere suo padre da ciò che gli italiani dicono di lui. La sua rabbia inespressa si sfoga solo quando dialoga con il fratello chiedendogli di prendere posizione nei confronti degli attacchi che il padre subisce da parte dei media. La moglie invece viene presentata allo spettatore sempre indaffarata a leggere un libro o a fumare una sigaretta.

Il regista mostra il lento declino di un uomo verso la malattia ma anche verso un inesorabile distacco dal potere e da tutto ciò che questo comporta. Hammamet si presenta nel complesso come una biografia di un politico, ne mostra le contraddizioni ma anche le irriducibilità. Ma soprattutto svela un lato più intimo e infantile: per esempio, l'ossessione per i dolci o per la pasta, alimenti per lui proibiti a causa del diabete.
L'uomo è costantemente accompagnato - e accudito - dalle sue guardie che mostrano una forza superiore alla sua nel gestire la situazione difficile in cui si trovano. Sembra quasi lo sfondo di un film femminista che mette in risalto la tenacia delle due donne, a confronto con un uomo ingestibile.

La vera svolta narrativa del film arriva con l'arrivo del giovane Fausto, figlio di Vincenzo Balzamo segretario amministrativo nazionale del Partito Socialista Italiano, politico e anche unico personaggio che viene chiamato con il suo stesso nome. Il ragazzo porta con sè racconti sulla morte del padre, ma anche rancore nei confronti del protagonista. I due però alla fine diventeranno complici e il Presidente si lascerà andare a confidenze con il ragazzo, talmente pressanti da farle registrare in un video. Questo filmato è per il protagonista un vero e proprio testamento.

Quello che risulta sconfortante al termine della proiezione è la forma che ha preso il
film: la struttura della narrazione risulta un po’ troppo piatta. A movimentarla vi sono
solo pochi flashback. Inoltre l'interpretazione dei vari membri della famiglia risulta meno calzante rispetto allo splendido lavoro di Pierfrancesco Favino, che ancora una volta si conferma come migliore attore italiano degli ultimi anni. Aiutato nella trasformazione della sua fisicità dal trucco, modula la voce riuscendo a imitare - e non scimmiottare - quella del Presidente. Ne assume le sembianze e anche gli atteggiamenti risultando molto autentico.

Giorgia Lodato

27/01/2020, 16:00