GLI ANNI PIU' BELLI - Un'amicizia lunga quattro decenni
Urlano i personaggi di
Gabriele Muccino. Siccome quelli che il regista ci mostra sono i migliori momenti della loro vita, e ne sono stranamente consapevoli, allora è tutto strillato, tutto eccessivo e ovviamente… tutto finto. Il regista, che scrive la sceneggiatura insieme a
Paolo Costella, prova a mettere in scena un "
C’eravamo tanto Amati" dei giorni nostri, con i ricordi che, invece di partire dalla resistenza e dalla guerra di liberazione, cominciano in una discoteca per ragazzini nel 1982, all’uscita della quale violenti scontri tra polizia e manifestanti (nel 1982?) tra i vicoli di Roma, offrono ai tre ragazzi sedicenni la possibilità di diventare amici per la vita.
Come spesso accade, il film di Muccino è un racconto sul passato recente fatto a posteriori, è la trasformazione dei ricordi in fatti, della nostalgia in valutazione storica, dove la banalità del quotidiano si trasforma in filosofica consapevolezza. La motivazione per cui un autore fa un film sugli anni belli passati (la nostalgia della giovane età, in sostanza) non può essere trasferita nel film stesso, dove i personaggi trasudano reminiscenze e raccontano con voce narrante, addirittura spesso guardando lo spettatore dritto negli occhi, quello che sta accadendo loro. Che senso ha? Dicessero poi cose fondamentali, illuminati e profonde. No, i temi sono semplici e sempre gli stessi: l’amicizia, l’amore, le corna e alla fine l’amicizia (ellissi di sentimenti e di racconto).
La vita dei quattro amici (ai tre ragazzi si è aggiunta la ragazza che scombina gli equilibri) va avanti come tante delle nostre, ma il volume spaccatimpani sembra volerle rendere eccezionali. In realtà no, non c’è nulla, oltre al parossismo della musica, dei toni e delle situazioni che rende queste vite né speciali né addirittura interessanti. Perché oltre al punto di vista sbagliato del racconto, ai personaggi manca l’umanità che i quattro di Ettore Scola riuscivano a mettere in scena grazie alla Storia e ai dialoghi, mai banali, mai inutilmente urlati. In Scola c’è amarezza, c’è riflessione, c’è una panoramica sulla società. Ne "
Gli anni più Belli" tutto ciò non c’è o non riesce ad emergere.
Gli interpreti, tra ringiovanimenti e invecchiamenti, provano a fare del loro meglio abbassando i toni che però, in automatico, tornano subito a far segnare di rosso il livello del volume e far sognare lo spettatore di avere a disposizione dei tappi per le orecchie.
30/01/2020, 16:15
Stefano Amadio