Note di regia di "Ultima Chiamata"
Un uomo si risveglia in uno strano luogo, muri scrostati, una stanza spoglia, fredda e umida. Non capisce dove si trova, ha forti dolori soprattutto alla testa, prova ad aprire la porta ma è chiusa a chiave, prova a chiamare qualcuno, nessuno risponde. È prigioniero.
Inizia così questa storia, nata da una riflessione su Parmenide, (essere e non essere), si è man mano delineata, soprattutto quando sono stati scelti i protagonisti. La partecipazione di due registi del calibro di Mimmo Calopresti ed Abel Ferrara, accanto all’attrice e regista francese Prescillia Martin hanno fatto il resto, tutto si è indirizzato in modo spontaneo e naturale verso una riflessione sul rapporto tra attore e pubblico, o meglio, più correttamente, tra artista e pubblico, un rapporto fatto di amore e odio, rispetto e disprezzo. “Migliaia di sentimenti contrastanti contemporaneamente” (cit. Abel Ferrara)
Il primo protagonista è stato il luogo, un teatro (Teatro dei Servi a Roma); questo ha ovviamente indirizzato gli sceneggiatori, il nostro uomo “prigioniero” è dunque un attore? Il suo carceriere è forse il suo regista? Un regista che lo tiene prigioniero ad un ruolo ormai troppo stretto ed odiato?
Chi è poi quella giovane donna che gli appare come un fantasma? È la sua donna o forse simbolicamente è il suo pubblico che ormai lo ha abbandonato?
Prodotto dalla Scuola di Cinema Sentieri Selvaggi, è il risultato di un lavoro congiunto tra studenti e insegnanti della Scuola, tra cui il Direttore della Fotografia Giovanni Bruno. La sceneggiatura di Toni Trupia ed Enrico Saccà, e poi una magica improvvisazione “teatrale” perfettamente inserita nel contesto già scritto. Un lavoro a cavallo tra film di fiction e documentario d’arte. Un’esperienza di scambio continuo tra registi, sceneggiatori, attori e maestranze. Un perfetto esempio di work in progress.
Massimo Latini