Fondazione Fare Cinema
!Xš‚‰

Note di regia di "Una Nuova Prospettiva"


Note di regia di
Una nuova prospettiva è un film drammatico di carattere storico universale, che vuole ricordare come eventi cosi gravi come l’attualissimo problema dei rifugiati in attesa alle porte d’Europa sia legato profondamente e paradossalmente allo stesso motivo per il quale l’Europa è stata costruita dopo la seconda guerra mondiale. Ovvero non ripetere l’orrore dei campi di concentramento e favorire la pace tra gli Stati Uniti di Europa, contrastando il ritorno di nazionalismi e odio razziale.
Personalmente sono stata molto colpita dalla visione del muro spinato, del confine (Hatar) ungherese dal 2015. Di come l’immagine di lunghe file di adulti e bambini disperati, con in braccio solo un sacco, ammassati contro una rete coperta da filo spinato e umiliati dalla richiesta di spogliarsi dei loro beni una volta accolti nei “campi d’integrazione”, mi ricordasse il lontano - ma forse non troppo - 1942.
Se la Storia è ciclica, possiamo osservare che si ripete nelle sue forme più belle e più terribili. Qual è allora la nostra posizione di spettatori coscienti davanti a questi eventi e cosa possiamo fare oggi rispetto al 1942, potendo contare su possibilità di comunicazione infinitamente maggiori? Continuiamo passivamente solo a guardare?
In questa storia il ragazzino che gioca nella foresta sente e osserva, scopre e incontra qualcosa di nuovo e allo stesso tempo terribile. Spaventato e sconfortato dalla visione di tanta disperazione torna a casa con una nuova consapevolezza.
Il Tempo è protagonista del racconto. Inizialmente il tempo della narrazione è dilatato come se fosse sospeso tra sguardo e azioni minuziose del ragazzino. La lentezza conferisce al racconto un senso di quotidianità e rafforza le emozioni del bambino, accompagnando le sue scoperte sonore e visive. Ad una prima parte caratterizzata da un ritmo lento e misurato si contrappone una seconda più incalzante, innescata dalla visione della bambina che piange, dei suoi genitori e della fila di migranti al confine: il tempo accelera tra passato e presente alimentando quell’enigma temporale che solo alla fine del film verrà svelato, lasciando spazio al tema dell’importanza della memoria.
Questo cortometraggio vuole essere una sintesi tra un film di impegno civile, che tratta tematiche delicate e attuali, e un esercizio di stile, dal punto di vista visivo e fotografico. In una decina di minuti un ragazzino ribalta le sue e le nostre certezze, mette in continuità l’Europa del 1942 con quella del 2020, facendo emergere le nostre responsabilità sul mondo che stiamo costruendo. In questa volontà di “ribaltamento” vanno visti il cambio di color, che segnerà la differenza tra i due periodi, e il cambio di ratio durante il film, girato in 4/3 per oltre metà, per poi diventare, nell’ultima parte, in PANORAMICO (con un cambio di ratio a vista da 1:45 a 2:35 Cinemascope) come a voler sottolineare l’apertura dello sguardo del ragazzino venuto a contatto con il muro di filo spinato.
Considerata la rilevanza dell’aspetto “visivo” (i dialoghi sono, infatti, pochi e asciutti) la fotografia è stata affidata ad un maestro del cinema come Daniele Ciprì. Parimenti importante sarà il racconto sonoro che accompagnerà le scene, la cui composizione sarà firmata da Teho Teardo.
Il filo spinato, oltre che immagine visivamente molto potente, simboleggia allo stesso tempo il divieto d’accesso ad un un luogo e il punto limite che marca il confine tra due terre.
Questo punto è un no man’s land. Una terra di nessuno. Il confine oggi a chi appartiene?
Che diritti per i bambini rifugiati. Che infanzia? Che protezione in queste condizioni? Quanti bambini dispersi e orfani?
Ed infine il tema della diversità, della paura e dell'odio di una razza diversa che invade il nostro territorio. Una sveglia che ci invita ad accettare la responsabilità e a sviluppare , si spera, una nuova prospettiva.

Emanuela Ponzano