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Note di regia di "Psychedelic"


Note di regia di
Psychedelic è un racconto di finzione, che narra di fatti verosimili o inventati, di epoca contemporanea. Nella costruzione di una caleidoscopica costellazione di personaggi, Psychedelic intende tratteggiare, per sconfinamenti e simbolismi, un possibile viaggio che la nostra immaginazione pu compiere, come singoli istanti di luce nella profondità della notte. L’idea di realizzare Psychedelic, dal greco psykhé, anima, e dêlos, chiaro, è nata sostanzialmente dalla volontà di avvicinare le esperienze materiali e immateriali che generazioni differenti hanno modo di compiere, attraverso un allargamento della propria coscienza e del proprio spirito, provando così a raccontare un carillon di anime antiche e nuove al contempo. Soggetti che da mondi paralleli cadono nelle proprie paure, sprofondano nei propri tormenti, rinascono nelle soffuse auree, nelle sottili ambizioni, accarezzano le tenere gioie e le effimere utopie. Per come possono, per quanto gli riesce, si interrogano sul senso dell’altrove. Oppure rimangono semplicemente fermi.
La cornice non impone nulla.

Le luci psichedeliche si accendono e si spengono nella mente di Paul che è un attore in ricerca, emblema della sempiterna attualità del Novecento, secolo fustigato dalle guerre, segnato dalle rivoluzioni, eternizzato dall’arte. Così elegante, sontuoso nella sua debolezza; reminiscenza di aristocrazia e ghetto proletario, misto di psicanalisi e irriverenza, avanguardie e stravolgimenti. Un secolo non concluso che rilascia ancora il suo siero di dolce malinconia, come delle lettere scritte a mano in un vecchio baule, sofferente ma incapace di arrivare all’ultimo stadio del dolore che è probabilmente la morte e il definitivo sopraggiungere del nichilismo. Richiamo di morte che ritorna spesso nel film, ma che viene puntualmente scacciato da una fievole e allo stesso tempo irrefrenabile voglia di vivere. La Chiesa, metafora della grande madre, è il luogo - non luogo dove finiscono molti sentimenti. La Chiesa è Donna. E’ una Chiesa aperta ai diversi, agli ultimi, ai dimenticati, agli scacciati via, ai poveri, ai diseredati, a quelli che quando camminano sopra tappeti sfarzosi, hanno il maldestro imbarazzo di chi ha le scarpe sporche. Irritualmente, una casa dove soggetti avvolti da stranezze vanno a dormire per trovare un arcano conforto, dove si compiono azioni che notoriamente non si andrebbero a compiere in un contesto che non perde per mai la sua sacralità.

In Chiesa, nei momenti in cui non si compie la liturgia e nel pieno rispetto del luogo, si pu mangiare un piatto caldo, ci si pu scaldare con una coperta, si pu ballare un valzer o accogliere altri punti di vista religiosi, senza smarrire l’affidamento, si pu perfino giocare a un videogame per trovare la sfera celeste. Se è vero come è vero che la fede è certezza di cose che si sperano. Una Chiesa dal respiro nuovo, secolarizzata, ecumenica, dal retrogusto laico e non antidogmatico, decadente ma non decaduta, dove si ascoltano le scritture e si provano a tramutare nella complessa caducità delle cose. Bene e male finiscono per fare capolino nei corpi e nei pensieri che fluttuano per luoghi senza definizioni forzate e retoriche, entrando in un sassofono ed uscendo da un acquario metafisico. Il film non giudica nessuno. Non ci sono né vinti, né vincitori nel lungo gioco dell’esistenza. L’interesse viene riposto nei grandi dogmi che accompagnano dalla notte dei tempi e nell’ultimo buco di mondo, in uno scenario indecifrabile e, probabilmente, inarrivabile, che è il cuore dell’individuo. Contraddizioni, debolezze umane, flussi di coscienza, misteri, speranze nuove, appaiono sconquassanti poiché poste in ascolto e disponibilità verso l’altro. L’altro non è mai un nemico, ma un’occasione. La vita di tante persone pu sembrare poco interessante, quando magari lo è. Il nostro tempo ci propone una rappresentazione troppo muscolare dei modelli vincenti.

Se non retorica, ipocrita e terrorizzata dal non allineamento, quando partorita dalla seconda borghesia della storia. I personaggi del film provano a divenire una somma o una sottrazione emotiva piuttosto che un computo algebrico. Contesti inavvicinabili tentano ad approssimarsi, e mete si allontanano continuamente. Ciascuno resiste e non smette di cercare. I simboli continuano ad essere libera proprietà di nessuno e di tutti. Per questo appaiono impercettibili riflessi politici. Non di parte, ma come esigenza di ritrovare una dimensione ispirata alla solidarietà, al bene comune, alla felicità. Il tempo inteso come durata, detta un ritmo possente. I giovani si mettono in cammino, convivono con i conflitti, sono giovani come tanti meravigliosi giovani contemporanei, che provano ad oltrepassare il muro di una società che troppo spesso li obbliga alla rassegnazione e all’omologazione. Diciamo molto lieto a troppa gente che non siamo lieti di conoscere e dimentichiamo quelli che non vorremmo dimenticare. Condividere significa irrimediabilmente possedere una visione ottimistica del futuro, senza preoccuparsi troppo della natura provvisoria degli stati d’animo o di avvertire inevitabili mancanze. Le cose non sono sempre vere totalmente. Il film prova a pensare i vuoti. Le assenze. I rumori bianchi. Prova soprattutto a mettersi in ricerca con modalità matte e disperatissime, come di chi vuole vedere il mare per la prima volta. Gli attori, i tecnici, i professionisti che hanno lavorato al film, hanno dato tutto.

Nella maniacale ricerca del dettaglio - quando poi le grandi cose accadono magari mentre spremi un’arancia o ti soffi il naso – abbiamo insieme provato a costruire un microcosmo delicato e fragoroso. Spero che il film porti sempre con sé il profumo e i colori che lo hanno caratterizzato, anche di chi purtroppo ci ha lasciati come Flavio Bucci, magnifico eroe di una recitazione raffiné inzuppata di sacro e profano. Ogni scelta supportata sulle spalle di un gruppo straordinario e su me stesso, è frutto del lavoro di donne e uomini catturati dalla voglia di mettersi in gioco e in discussione, con la sola ambizione che il film non si concluda con la visione, ma che possa accompagnare quanti avranno voglia di varcare una soglia. Che è appena lì, dietro l’angolo. Dentro noi stessi. Nell’esperienza emotiva di rievocare il mondo che si vedeva da bambini. Nella speranza di ripensarci sempre nuovi, convivendo con i conflitti, la vergogna e la grazia di stare al mondo. Tutti i processi del film sono stati maturati, lungamente meditati, scardinati e accolti, non per renderli inveri, al contrario, per cercare il principio del meccanismo, l’inizio della suggestione, provando ad essere il più fedele possibile all’esordio creativo che di solito è un colpo che non ti lascia il respiro, che ti sta dietro il collo per morderti e per volerti bene.

Così è stato per la trance meditativa e avvolgente che ho voluto con le musiche di Frank Fogliano, nate dal suo sconfinato talento e dalla sua sensibilità e con il quale, frammento su frammento e goccia sonora su goccia sonora abbiamo modellato la colonna. I brani musicali utilizzati, il sound design, le basse frequenze, le distese di effetti che permeano il film, cercano di amplificare il viaggio psichedelico. Il gruppo musicale giapponese Jack or Jive nel solco della ricerca, gli XHU nelle sperimentazioni creative, Alio Die nella sua solenne interiorità che conduce dentro un universo musicale unico e magico, offrono un contributo di rara preziosità. Le scenografie seducenti e mistiche di Giovanni Bardi, le abbiamo volute riprendere dalla cose passate e un po' passate di moda, che sono maledettamente commoventi. Gli oggetti di scena e le ambientazioni evocative, giocando con i nostri ricordi e le visoni oniriche, hanno camminato a braccetto con scorci surreali e alternativi. Non è stato semplice fare questo film, ma in Italia è possibile fare un tipo di lavoro che possa sperimentare e proporre nuovi linguaggi e nuove forme espressive, partendo proprio da un amore infinito per il cinema. Durante il faticoso percorso che mi ha portato al film ho dialogato con molti studiosi, amici, gente comune. Ho provato in tutti i modi a sentire suoni e vedere colori. A tapparmi un orecchio, o tutti e due insieme. A spalancare l’ascolto sul canto di una formica. A bendarmi un occhio. A stare in apnea. A sentire l’acqua che dal bicchiere scende nel corpo. A guardarmi solo al mondo, e un attimo dopo al luna park con antenati che mangiano un pugno di more tutte insieme, perché oggi c’è troppa gente che fa le composte.

Provare a solidarizzare con il dolore degli altri. Anche se non è semplice. E poi ho fatto altre prove diciamo più metafisiche. Immaginando altre dimensioni, provando a ragionare non scientificamente sulla percezione della relatività e dei quanti, sull’armonia dell’universo. Mi hanno aiutato molto la meditazione e la trascendenza. Tutto questo i personaggi provano a farlo nel proprio io. Durante le riprese ho tenuto a riempire anche i cassetti che tutti sapevamo non sarebbero mai stati aperti. Le cose non si sbandierano, accadono tante volte nel silenzio. Non sono arrivato a conclusioni o equazioni della materia. Non ci sono sentenze sui massimi sistemi, anzi ci si conforta con la piccolezza di tanti puntini sparsi nell’etere. Semplicemente ho compreso che ciascuno ha da offrire qualcosa, che non possiamo soffermarci reiteratamente sui nostri bisogni primordiali. Importanti e da salvaguardare, ma che in un momento storico delicato, occorre spingersi dove comincia il lontano. Perché la fine è qualcosa che non finisce. Tutto ricomincia. Psychedelicamente.

Davide Cosco