Note di regia di "Zeneru'"
Entriamo nella vita del pastore Flaminio Beretta, mentre con fatica tira un vecchio asino in salita che a sua volta trascina un tronco di legno. L’urgenza è quella di mostrare la sua resistenza. Con sguardo osservativo e immersivo ho scelto una narrazione che restituisce un brandello di esistenza e di esperienza di vita, per mostrare i frammenti di una presenza fragile e ricca.
Nel film ho collocato Flaminio in una posizione intermedia tra i valligiani e l’inverno, facendogli interpretare un ruolo che si avvicina ad impersonificarsi con lo Spirito del Zenerù, ampliando così le sue percezioni, il suo sentire ed entrando in forte connessione con il rituale. Flaminio nel racconto è colui che mette in relazione il mondo selvatico e quello domestico, facendo perdere allo spettatore i punti di riferimento spaziali e temporali. Si tratta di un’entità duplice che addomestica e viene addomesticato. Flaminio è il paradosso, la contraddizione, l’ossimoro nel tentativo di separare la Natura dall’Essere Umano.
La potente corporeità visiva di Flaminio mi ha suggerito di adottare un’estetica che abbandona la centralità del verbo, a favore di una dimensione tattile e sonora. Il senso profondo del suo agire, per me, non sta nel nominare le cose e gli oggetti con le parole ma nella sua capacità di far risuonare e scuotere le azioni, soprattutto quelle interiori ed emotive.
Nel film ho volutamente costruito una dimensione atemporale, plasmando il pastore solitario in un personaggio che sembra appartenere ad un passato remoto e al tempo stesso dà l’impressione di vivere in una sorta di futuro distopico. Flaminio sembra l’ultimo superstite del nostro presente, epoca annientata dagli scarti, dal consumo di oggetti e territori, e dall’incapacità di costruire azioni collettive. In questo senso, nel film, gli elementi onirici del rituale de La scasada dol Zenerù e i suoi strumenti magici, campanacci e corni, servono al protagonista come memoria storica di un passato comunitario nel quale si sopravviveva collaborando. Flaminio e il rituale apotropaico instaurano un rapporto simbiotico che permette loro di riconoscersi uno nell’altro.
Il rituale deve scacciare il malvagio insito nella modernità, deve adattarsi al cambiamento con sguardo critico, deve immergersi nel mondo magico, deve preservare il difficile equilibrio tra conosciuto e ignoto. Solo così potrà continuare ad esistere.
Ho voluto rappresentare i gesti delle comunità di montagna che sopravvivono, mostrando la resistenza del vecchio pastore e la forza del rituale collettivo che scaccia l’Inverno.
Andrea Grasselli