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ZENERU' - La cacciata dell’invernoSinossi *: La figura di Flaminio Beretta, pastore resistente, è difficilmente collocabile nello spazio e nel tempo. Veste solo di pelli e lana, che lui stesso produce e confeziona. All’apparenza sembra provenire dal passato, e al tempo stesso, nei gesti e negli strumenti autoprodotti, pare viva in un futuro distopico. Il film si vuole quindi inserire in questo scarto indecifrabile delle due temporalità.
La sua quotidiana ritualità è scandita da numerose azioni con strumenti che lui stesso si è auto-costruito: recupera l’acqua alla fonte, porta il gregge a pascolare, tosa le pecore, carda e fila la lana, confeziona al telaio un vestito di lana per la nuova stagione, cucina un pasto frugale per sé stesso e si consola con un pò di vino che lo aiuta a tenersi caldo durante la rigida stagione.
Flaminio, dopo aver osservato le ultime manifestazioni della stagione fredda, capisce che è giunto il momento di avvertire i valligiani di scendere da valli e crinali, per scacciare lo Spirito dell’Inverno. Dopo averli richiamati, esce di casa guardando verso le cime delle montagne innevate da dove proviene il vento. All’improvviso dei corni risuonano nella valle, sono i valligiani che rispondono al segnale del corno di Flaminio. Numerosi suoni di campanacci scendono dai fianchi delle montagne, delle valli e dalle colline limitrofe. Sono uomini vestiti con lunghi tabarri e cappelli, che agitano con forza grandi campanacci per dare la caccia all’Inverno che tenta la fuga. Lo Spirito dell’Inverno comincia a tentennare. Le campane, da oggetti quotidiani, durante il rituale si trasformano in strumenti magici che gli scampanatori usano per stordire e catturare lo Spirito, facendolo cadere in una trance acustica. Il suono ipnotico dei campanacci segna il confine tra domestico e selvatico, tra conosciuto e ignoto. L’obiettivo dei valligiani non è eliminare l’inverno ma è allontanarlo: rispettando quindi il tempo ciclico della natura e accogliere l’imminente arrivo della Primavera.
Con un grande falò gli uomini del villaggio bruciano il fantoccio che rappresenta il Zenerù.
Note:
Il Rituale - La Scasada dol Zenerù
La Scasada dol Zenerù (Cacciata del Gennaio) è una tradizione secolare del
mondo agropastorale che si svolge ogni anno ad Ardesio (Val Seriana, Bergamo).
Si tratta di una rappresentazione drammatica che mette in scena le paure e le tensioni vissute dalla comunità durante l’anno.
La sera del 31 gennaio di ogni anno, alle prime ombre notturne, ragazzi e giovani muniti di campanacci, tole e cioche, utilizzati come strumenti magici, scendono dai sentieri lungo i pascoli, raggiungono le contrade e si lanciano per le strade del paese in un incessante scampanamento in simbiosi ritmica con le loro danze.
Sfidando il freddo si cerca di creare il maggior frastuono possibile per allontanare
l’inverno, sperando nell’arrivo della primavera.
Fino ad inizio Novecento la società rurale tradizionale dipendeva quasi esclusivamente dalla Natura e dalle forze che in essa agiscono.
Nell’imprevedibilità degli eventi, soltanto il tempo ciclico restava un punto fermo e sicuro, con l’avvicendarsi delle stagioni, delle nascite e delle morti.
Durante il boom economico italiano, mentre modernità e culto del consumo dirompevano nello spazio sociale, si è presa la direzione dell’abbandono e del rifiuto della cultura popolare e locale, fatta eccezione per sporadici casi illuminati.
La tradizione della Scasada dol Zenerù, non è riuscita a competere con i nuovi modelli che giungevano dal piccolo schermo. Così, un rituale che celebrava
l’universale lotta tra la vita e la morte, preludio al risveglio della Natura, stava rapidamente cadendo nell’oblio dopo aver attraversato i secoli. Fino a quel momento solamente una piccola manciata di valligiani, tra cui Flaminio, proseguivano con la tradizione.
Nel 1965, la svolta: una maestra di Ardesio contattò la RAI per segnalare il rituale alla trasmissione televisiva “Cronache Italiane”. Per l’occasione fu introdotta l’innovazione della personificazione del Zenerù, su specifica richiesta di un operatore televisivo che aveva l’esigenza di filmare una minaccia visibile.
Un uomo del paese quindi, si vestì con due lenzuoli, uno bianco e uno nero, e con un grande cappellaccio impersonificò per la prima volta l’Inverno da scacciare.
Il rituale della piccola comunità si ritrovò così amplificato dal mezzo televisivo.
La trasmissione affascinò gli abitanti che videro sotto nuova luce quella che sembrava una festa in decadenza. Da allora il rituale ha riacquistato grande partecipazione nella comunità.
Il Pastore - Flaminio Beretta
Flaminio Beretta nasce nel 1948. Simpaticamente considerato dai compaesani una sorta di “Uomo Selvatico” o di “nuovo Leonardo Da Vinci”, Flaminio, dopo aver lavorato come fotografo nello studio del padre, esce di casa poco più che ventenne ed inizia a lavorare come aiutante per diversi pastori della zona, iniziando una lunga peregrinazione che lo porta, tra alpeggi e valli, a vivere sempre all’aperto, a forte contatto con le avversità della natura. Giunto ai trent’anni decide di fermarsi, recuperando un vecchio fienile di famiglia e abitando in quella che ancora oggi è la sua casa. Da più di quarant’anni, infatti, vive da solo come eremita, conducendo la sua esistenza privandosi volontariamente delle comodità della modernità: senza corrente elettrica, acqua
corrente e riscaldamento.
Flaminio veste di sole pelli e lana, che si autoproduce filando e tessendo, e conduce una vita umile e semplice a contatto con la natura e con la terra, allevando e coltivando; raccoglie erbe con sapienza erboristica, per utilizzarle come rimedi naturali; si ingegna costantemente trovando soluzioni innovative per i suoi strumenti di lavoro. Nel corso dell’ultimo decennio ha deciso di non scendere più in paese. Ha limitato le relazioni con i compaesani, per vivere più a fondo la sua esistenza.
Durante gli anni Sessanta, quando il rituale rischiava di scomparire, assieme ad una manciata di compaesani, ha sostenuto e promosso il Zenerù, facendolo sopravvivere. Ogni anno alimenta il rituale scrivendo una poesia-filastrocca disegnando il fantoccio che una volta costruito dai compaesani, il giorno del rito, viene cacciato e arso. Questo fa di lui l’amato e rispettato punto di riferimento nella comunità della valle.